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Nuvola
Medioevo
Note:
- “Nebulano deriva da un Nebulus diminutivo si Nebus. Vi sono al riguardo diversi gentilizi: Nebo Tullio Nebusi, Naevolius, (nome proprio maschile e femminile) e la liberta Naevoleia. Il personale maschile Naevolius e il personale femminile Naevoleia sono documentati in età imperiale ad Alife e Pompei”. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, Battipaglia 2001. pp. 101-116. “NAEVOLEIA. I. LIB. TYCHE. SIBI. ET. C. MUNATIO. FAUSTO. AUG. ET. PAGANO. CVI. DECURIONES. CONSENSU. POPULI:, in T. Mommsen, Corpus Inscriptiones Latinarum, (C.LI.), X, n. 1030, Berlino, Reimer, 1883. n particolare il nome fu trattato da F. Niccolini, Il sepolcro di Naevoleia, in Pompeiana , anno X, p. 94.
- F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, Napoli 1856, pp. 100-101.
- F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 100.
S. Bartolomeo seu Bracello
Note:
- Uno – “27 aprile 1544: I fratelli Nicola e Laudisio Zappile possiedono un terreno con vigne, olive, fichi e cerase, sito e posto in Montecorvino e proprio ubi dicitur Santo Bartolomeo seu Bracello, sopra Nubula, giusto via pubblica, Don Rainaldo de Enza, giusto vallo detto Vallone Sicco”. Il documento è inserito in un atto del 27 maggio 1553, A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3246. A. D’Arminio – L. Scarpiello – R. Vassallo – C. Vasso, Arcipretura di Montecorvino. Un millennio cristiano, Battipaglia novembre 2006, pp. 31-42. “30 aprile 1751 Si costituiscono il Rev. Can. Sign. D. Andrea Maria Denza del casale Molinati. E il Magn. Notar Silvestro Corrado del casale della Crogna. Il sudetto D. Andrea Maria afferma che possiede un pezzo di oliveto alquanto scaduto, ed incolto per mancanza di coltura, di capacità di due opere di buoi, oltre un poco di terra vacua, sita e posta da quella parte del casale di Nubula, confinante da sotto coll’oliveto del Beneficio di S. Francesco di Assisi dei Signori Sparano, frammezzantoci la via che esce da detto casale di Nubula , da un lato con i beni del fu Matteo Caroluccio e coll’oliveto del Sign. Matteo Jorio, da sopra con i beni del Rev. Capitolo di S. Pietro, e divide propriamente da un certo lavinaro il quale è di detto oliveto, e viene ad essere parte d’esso sopra un certo muro di fabbrica antica, e così tira quando tiene detto oliveto, dall’altro lato con un vallone o sia via pubblica antica, con i beni di Matteo e fratelli D’Arminio e col sopradetto Capitolo. Su detto oliveto vi è l’annuo censo di duc. 12, stipulato nel 1748 da detto Notare Corrado. Ora lo vende a detto Magn. Notar Corrado per un prezzo di duc. 268 e grana 43. Il detto Canonico ave rilasciato duc. 238 e grana 43, cioè duc. 200 di capitale e duc. 38 e grana 43 a soddisfazione di tutte le annate decorse, estinguendo così l’annuo censo. Il Magn. Notar Corrado consegna manualmente i restanti duc. 30”. A.S.S., notaio N. Budetta, B. 3359.
- “Inquisitur de valore infrascriptorum Ecclesiarum: S. Bartolomei de Cappella tarì VII ½”. Ratio Decimarum. M. Inguanes – L. Mattei Cerasoli – P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, città del Vaticano – Biblioteca Apostolica MDCCCCXLII, p. 399, n. 5896.
- A. D’Arminio – L. Scarpiello – R. Vassallo – C. Vasso, Arcipretura di Montecorvino. Un millennio cristiano, op. cit., pp. 31-42.
S. Nicola
Note:
- “Località la Tempa, confinante con la via vecchia che va allo Sottano”. A.S.S., notaio G. Abinente, B. 3321.
- D. Memoli Apicella, Sichelgaita tra i Longobardi e Normanni, Lancusi 1997, p. 266. D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, Montecorvino Rovella febbraio 2018, pp. 72-108.
- A.D.S., Arca II, n. 81 A. Giordano, Le pergamene dell’Archivio Diocesano di Salerno (841- 1193), Battipaglia 2015, pp. 365-366. Foto del documento.
Cupa della Fontana Grande
Note:
- “Accanto all’iniziale della piccola abitazione, dell’addetto vectigal si piazzarono le capanne e qualche casa, i recinti, mentre nei pressi era condotta l’attività primaria dell’agricoltura che manteneva ferma le sue rare attribuzioni di natura sociale, come balneum per l’igiene ed il lavaggio dei panni”. P. Natella, I Sanseverino di Marsico una terra un Regno I. Il Gastaldato di Rota (VIII-XI secolo), Penta di Fisciano dicembre 2008, p. 79.
- Inventario di beni della Chiesa di S. Pietro del 1729: Item esso Rev.mo Capitolo possiede da sotto la Sala dei Morti, e proprio nel luogo ove si dice Gianatiempo, che dalla parte di sopra vi è anco l’oliveto della Parrocchial Chiesa di S. Martino, un oliveto di piedi n. cento e tre con un piede di noce dentro, e terra vacua; quale confina da levante la sudetta Parrocchia, e l’oliveto del Pio Monte dei Morti, e la vigna di Ippolita Malfetano, da mezzogiorno, ponente e settentrione lo vallone dello Marmoro. In detto oliveto da parte di mezzogiorno vi è una fontanella detta di Gianatiempo, e vi sono alcuni piedi di cerze, e vi è la via pubblica, che divide il detto oliveto di Gianatiempo dall’altro oliveto del Capitolo volgarmente chiamato il Capitoliello, quale oliveto è sempre posseduto dal Rev.mo Capitolo”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 16. B. D’Arminio – N. Fortunato, Il patrimonio della insigne Collegiata di S. Pietro di Montecorvino Rovella, Salerno 2011, pp. 84-85.
Nebulano
Durante il Quattrocento, con l’aumento della popolazione, dalla nostra strettula si diramarono dei viottoli in direzione di S. Nicola dove furono costruiti nuovi edifici più consoni alla nuova epoca, a corte chiuse e corti aperte. Riteniamo che, in questo periodo, il nostro aggregato per popolazione e livello sociale sia diventato il principale abitato, estendendo il nome anche al vicino borgo di S. Nicola.
Note:
- “Dal testo del Palladio, Il latifondo italico e l’occultamento della società rurale. L’unico trattato agronomico tardoantico, quello di Palladio, si riferisce a zone, non sempre definite, dell’Italia e della Sardegna, dove l’autore aveva proprietà. Palladio, infatti, accenna a usanze a lui apprese <>, a pratiche da lui stesso sperimentate in <> o, più esplicitamente, ai suoi fondi <>. Quali indicazioni possiamo trarre, da questa fortunata circostanza, per la nostra conoscenza della situazione sociale delle campagne italiche intorno alla metà del V secolo? Il fatto è che nella prospettiva di Palladio, proprietario nell’Italia tardoantica, la distinzione fra schiavi e liberi era, ai fini dell’organizzazione del lavoro, irrilevante: il modello di possessio che egli aveva in mente era quello – noto da altre fonti contemporanee – fondato su nuclei famigliari di coloni o di schiavi che lavoravano su parcelle distinte ma tutte facenti capo alla villa. Possessiones come quella siciliana di Melania, articolata su 60 poderi coltivati da 400 servi o come le terre del suburbio romano appartenenti a Melania e al marito Pinianus, sulle quali lavoravano circa 8.000 schiavi. Dal punto di vista della organizzazione produttiva, l’attività di questi lavoratori non differiva da quella dei coloni; e anche dal punto di vista più strettamente economico, l’impiego delle due categorie doveva presentare, per i domini un complesso di fattori sostanzialmente convergenti. Sotto questo profilo, il trattato di Palladio può essere considerato come la testimonianza più importante che la tarda antichità ci abbia lasciato sul conguaglio tra coloni e schiavi”. A. Giardina, l’Italia Romana. Storia di un’identità incompiuta, Bari aprile 1997, pp. 300- 302-303. .
- “3 agosto 1800: Oliveto nel casale di Nuvola e proprio nel luogo denominato la Pezza seu Madama Angela, chiamato volgarmente Mainente”. A.S.S., notaio N. Maiorino, N.V. B. 3323.
- A.S.S., notaio A. D’Alessio, B. 3292, 3 settembre 1624.
- “benvero però che detto Magn. Nunziante Pozzuto , e suoi figli no possono buttare , ne far buttare così dalle finestre faciende, come da detti balconi, sporcizie, seu escremento umano , che sporgono dentro detta cupa, ed occorrendo in futuro accomodi a detta casa, sia licito a detto Magn. Nunziante farci la fabbrica scarpa, dove sarà necessario, dentro detta cupa, ed il cantone verso la casa di Filippo Coralluzzo comprata dai Recchi. E infine si è stabilito tra esse parti che la cupa sudetta debba restare nell’istesso modo, e maniera , e nel piede, che attualmente si ritrova, si è misurata, ed è di larghezza palmi 8 netti, franchi di siepe, misurati detti palmi 8 dall’attuale muro dalle case di detto Magn. Nunziante, sino alla siepe del giardino del Magn. Antonio, e di lunghezza, quanto essa contiene, e quanto riguarda alla porta della casa di detto Magn. Nunziante, che sporge, ed esce in detta cupa, possa il medesimo allargarsela a suo piacimento”. A.S.S., notaio S. Corrado, B. 3350, 7 luglio 1760. L. Scarpiello -R. Vassallo – C. Vasso, Nunziante Pozzuto: un imprenditore. Economia e rapporti famigliari nell’Università di Montecorvino, Montecorvino Rovella 2009, pp. 44-47. Testo a cura di Alfredo D’Arminio e Lazzaro Scarpiello
APPENDICI
Analisi di un sito: il Castello di Montecorvino
L’articolo, le foto, i rilievi grafici sono il sunto di ricerche effettuate sul campo, preciso che non sono un archeologo, mi reputo semplicemente un cultore della materia. Se il lettore denota degli errori, o semplicemente non è d’accordo su quello che ho scritto, sarei contento di un confronto e sempre pronto ad imparare e sicuramente propenso a ritornare sui miei passi. Spero di aver fatto cosa gradita. Arch. Gregorio Soldivieri.
La chiesa è stato affiancata sul lato mare da un altro corpo di fabbrica con due ampi archi gotici a sesto acuto ben visibili ed altre aperture (in parte chiuse in seguito) che servivano probabilmente a dare luce alla chiesa. Dallo spessore delle mura e dalle fondamenta si intuisce che quest’ultimo edificio aveva anche un piano superiore, il cui tetto a unica falda si andava ad inserire verosimilmente al di sotto del tetto della chiesa per facilitare il deflusso delle acque meteoriche verso la valle. Il fabbricato ha svolto anche la funzione di contrafforte per la chiesa, mantenendo in piedi il lato valle della chiesa, quello normalmente più esposto al crollo in tutti gli edifici costruiti su un terreno con forte pendio.
In base ai dati ed alle osservazioni raccolte in situ è possibile ipotizzare uno schema insediativo di questo tipo:
- un edificio centrale a due livelli, fortificato, dove risiedeva il “signore”, cinto da un lato dal fossato e circondato da un cammino di ronda con torrette di guardia e di avvistamento;
- una serie di strutture pertinenti ad un altro edificio importante, ben impostato e ben costruito, con ampi (poderosi) archi ogivali, che alcuni studiosi definiscono “sacro”, in quanto avrebbero identificato la strutture di una chiesa inglobato da una più ampia cinta collegata direttamente al castello.
Il Castello
Dal Neolitico ai Normanni
Note:
- “29 luglio 1560: Marcantonio de Sparano vende a Julio Denza vari beni fra cui un oliveto sito al loco detto la Ripa deli Corvi, pertinente Montecorvino, giusto i beni di Filippi Pezuti, il detto Denza et altri””. A.S.S.. notaio F. D’Alessio, B. 3252.
- “Lungo la china che fiancheggia la via rotabile tra Rovella e Pugliano, verso la sommità di una sporgenza rocciosa, denominata Ripa del Corvo, si vedono tre grotte o meglio tre ripari sotto rocce. Ivi ritrovai tracce di vita umana primitiva con numeroso materiale di diversa stratificazione. Dopo un cinquanta metri, discendendo giù per la china coltivata ad ulivi, alcuni cavapietre ritrovarono una messe larghissima di bronzi, cocci e vasi”. L. Foglia, L’uomo neolitico nell’agro picentino presentata alla R. Accademia di Archeologia, lettere e Belle Arti, Napoli 1905, nuova edizione, Montecorvino Rovella 1996, pp. 9-10.
- “Il Foglia parla dell’esistenza in località Ripa del Corvo, di tre ripari rocciosi, da identificare con quelli ancora oggi visibili nel costone roccioso a sud-ovest del castello, all’interno dei quali rinvenne un certo numero di materiali che, in base alla descrizione, sembrerebbero da collocarsi all’età del bronzo”. T. Cinquantaquattro , Dinamiche insediative nell’Agro Picentino dalla protostoria all’età ellenistica, in AION Archeologia Antica, vol. XIV, p. 252.
- “L’insediamento antico si colloca sul lato orientale di un pianoro di forma stretta e allungata, delimitata lungo il margine settentrionale da due piccole alture delle quali la più orientale è occupata da Castel Nebulano, eretto in periodo longobardo. L’accesso al pianoro è possibile solo da ovest, tramite una ripida stradina naturale, mentre il pendio risulta scosceso e impraticabile sugli altri lati. L’insediamento è da porsi nella parte nord-orientale del pianoro, in una piccola conca naturalmente delimitata da rialzi del terreno, ai piedi della collinetta sulla quale in età medievale verrà innalzato il castello”. T. Cinquantaquattro, Dinamiche insediative nell’Agro Picentino dalla protostoria all’età ellenistica op. cit., pp. 251-252.
- “Gli interventi di scavo qui effettuati nel 1986 hanno rilevato l’esistenza di tre fasi insediative: la più antica risalente al VII-VI sec. a.C. è indiziata dal rinvenimento, in un saggio, di fori per pali e da una fossa di scarico pertinente con probabilità ad una capanna”. T. Cinquantaquattro, Dinamiche insediative nell’Agro Picentino dalla protostoria all’età ellenistica, op. cit., pp. 251-252. “In un caso è stato possibile approfondire lo scavo sotto il livello del IV sec. a.C., giungendo fino a quello che, per il momento, costituisce il momento iniziale dell’insediamento: incavati nel paleosuolo argilloso sono infatti rinvenuti alcuni fori di palificazione, parte per un cavo di fondazione e una grande fossa di scarico, probabilmente pertinente a una capanna: in tutti questi elementi – come del resto sul piano archeologico ad essi connessi – è stata rinvenuta ceramica di impasto databile nel VII-VI sec. a.C.”. L. Cerchiai, L’Agro Picentino, in Poseidonia Paestum , Atti del XXVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1987, Napoli 1992, pp. 810-813.
- “il villaggio medievale si sovrapponeva direttamente sullo strato di obliterazione della fase insediativa del IV sec. a.C. Di tale fase che comporta probabilmente l’urbanizzazione dell’insediamento e si concluse alla fine del secolo o all’inizio di quello successivo, sono stati rinvenuti i crolli di tegole e pietre dell’elevato e del tetto delle abitazioni e un grande muro a secco in pietra e scaglie che costituiva forse un terrazzamento. Abbondante è la ceramica rinvenuta soprattutto nei tipi di quella in uso comune; attestato è naturalmente la ceramica a vernice nera e, degno di nota, è il rinvenimento di pesi da telaio e un anfora vinaria”. L. Cerchiai, L’Agro Picentino, op. cit., pp. 810-813. T. Cinquantaquattro, Dinamiche insediative nell’Agro Picentino dalla protostoria all’età ellenistica, op. cit., p. 252.
- “La fase più recente riguarda l’insediamento medievale sviluppatosi in relazione al castello e verosimilmente in relazione allo sfruttamento agricolo del pianoro. L’insediamento era caratterizzato da strutture abitative precarie segnalate dal terreno da fosse circolari e buchi per l’alloggiamento di pali in legno che dovevano costituire l’elemento portante dell’elevato. In uno di tali fori è stato rinvenuto il bordo di un vaso chiuso recante sulla spalla una incisione a crudo C.T.”. L. Cerchiai, L’Agro Picentino, op. cit., pp. 810-813.
- A.D.S. Reg. Mensa n. 33. “Il possesso signorile è domnicum, prato domnicum, terra domneca, hortus dominicus e vinea domnica. L’origine di vinea domnica è chiara: vigna del dominus o anche dipendenza specialistica dove si raccoglieva e si lavorava il vino del signore”. P. Natella, Vignadonica di Villa. Saggio di Toponomastica Salernitana, Agropoli 1984, pp. 12-13.
- A.D.S., Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, Battipaglia 2001, p. 10.
- “Item à Castello e proprio nel loco dove si dice l’Oliveto Grande del Capitolo, comune et indiviso anticamente con i Cappellani di Santo Pietro, et la Rettoria di Santo Eustachio nel quale oliveto il Capitolo ha la metà, et l’altra metà si dice che due parti sono dei Cappellani di Santo Pietro e la terza parte del Rettore di Santo Eustachio. Confina con l’eredi del dott. Giuseppe e Giovanni Maiorino, li beni di Domenico Maiorino, da due parti che è dalla parte di sotto, et dalla parte verso Gefuni co quello del fu Carlo Maiorino et la strata che và alla fontana del castiello, e infine verso Rovella con le Coste del Castiello”. Archivio di S. Pietro, Libro Campione n. V, anno 1634, pp. 50-148-305.
- “Per il rimanente il castello si depopulava in quanto i contadini tornavano a casa propria dove si sarebbe ricoltivato nei luoghi non eccessivamente manomessi”. P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. II. Dalle signorie alle contee ai principati (1081-1568), Salerno 2018, pp. 78-79.
- A. Di Muro, Le contee longobarde e l’origine delle signorie territoriali nel Mezzogiorno, in A.S.P.N., vol. CXXVIII a. 2010, p. 60. B. Visentin, Identità signorili e sistema di gestione tra età longobarda e normanna. Le terre del castrum Iufuni e la Trinità di Cava, in Archivio Normanno-Svevo, 3 a. 2011/2012, p. 38.
- A. Di Muro, La Piana del Sele in età normanna-sveva. Società, territorio e insediamenti, Bari 2005, pp. 54–56.
- “Nel IX secolo diverse furono le incursioni dei saraceni. Nell’871 vi fu un lungo assedio alla città di Salerno con saccheggi nelle zone periferiche, fra cui la vallata del Tusciano. Nell’877, i saraceni e i napoletani saccheggiarono Sarno, Mercato S. Severino, Montoro e Giffoni. Dall’ 882 ai primi decenni del X secolo, gli agareni trincerati ad Agropoli effettuarono numerose scorrerie nel Principato di Salerno. Le popolazioni locali pressate dalle continue necessità dell’assedio dell’ 871, furono costrette a costruire dei ripari murati sulla sommità del Locus Montecorvino”. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 14-47
- A. Di Muro, La Piana del Sele in età normanna-sveva. Società, territorio e insediamenti, op. cit., p. 54.
- “Lo sviluppo della turris è essenzialmente legato ad un punto e crudo servizio di conservazione: ogni 1500 metri sull’alto delle colline la si piazza perché avvisi sulle avanzate nemiche, la si dota di fuochi o lenti di richiamo per notte e giorno, e quando è necessario tre o quattro soldati possono stazionarvi, e alzano intorno recinti di animali da cortile o da macellare, terrazzi per la coltura di vegetali, pozzi o cisterne per l’acqua, avamposti di pietre per la prima difesa. Sono elementi che qualificheranno in seguito il castello isolato, per collegamenti con l’abitato, aspetto che troveremo fin nel basso Medio Evo italiano allorché in caso di assedi assisteremo alla lunga, incredibile alle volte, trattativa sulla consegna o meno del castello”. P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. II. Dalle signorie alle contee ai principati (1081-1568), op. cit., p. 46.
- “I duri Guglielmo e Guimondo erano partiti alla conquista della periferia cittadina. I nostri cavalieri si fecero alle immediate porte di Salerno, come detto per assoggettare Prato cioè Pastena fin verso S. Margherita, i beni di Angellara fra l’Arbostella sul mare e la pedemontana S. Leonardo-Fuorni. Dopo Salerno entrarono nell’ex actu longobardo di Stricturia tra Siglia-Campigliano e Giffoni, a Salsanico, villaggio distrutto vicino S. Vittore di Giffoni, scendendo di là nel Sele. Raggiunsero il fiume Picentino, lo oltrepassarono per setacciare i demi attorno il fiume Asa e al suo collega idrografico Rivoalto (oggi Rialto), addirittura più piccolo dell’altro e entrante in foce al Tusciano, oltre il quale si misurarono col grande lago costiero omonimo (più o meno dove oggi è la località Lago). Risalirono le colline ed entrarono nel Sele a S. Vito, onde procedere verso il castello olevanese e la vicina grotta del Montedoro. Il papa lo seppe, e scomunicò, e dopo la scomunica i due rinsavirono e restituirono i beni al papa Alessandro alla fine di settembre del 1067 nella città di Salerno”. P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. Il Gastaldato di Rota(VIII-IX secolo), Penta di Fisciano 2008, pp. 192-197-198.
- A. Cerrone, Acerno nell’ottocento, Montella 2009, p. 291.
- A. D’Arminio – L. Scarpiello – R. Vassallo – C. Vasso, La stratificazione dei toponimi nello <> tra tardo antico e il rinascimento, op. cit., p.102. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 21-51.
- “Una conformazione insediativa analoga a quella olevanese pare caratterizzare il territorio di Montecorvino nel Medioevo. Anche qui il centro del distretto era stato il castello che sorgeva sul Monte Nebulano, assediato ed espugnato nel 1122 dal duca Guglielmo d’Altavilla ma che risulta già distrutto al momento dell’acquisizione da parte di Romualdo Guarna. (Montem Corvinum quem olim castrum fuit et nunc dirutum est). Prima della distruzione l’insediamento era costituito da un palazzo edificato su una piccola motte artificiale, circondato da un fossato al di qua del quale si notano i resti di alcune abitazioni e una piccola chiesa, forse il nucleo di un villaggio, ma la limitata estensione dell’area lascia aperta l’ipotesi che si potesse trattare di un castrum esclusivamente signorile. Una cinta muraria (probabilmente ricostruita ai tempi della Guerra del Vespro, come si evince dalla tipologia delle torri) definiva l’area castrale”. A. Di Muro, Terra uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), op. cit., p. 27.
- P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. II. Dalle signorie alle contee ai principati (1081-1568), op. cit., p. 78.
- “Anche per Montecorvino si ripete ciò ch’è stato da tempo precisato: <>.<Castrum, castellum si applicano a un insediamento abitativo fortificato, città o villaggio…, ben di rado un castello nel senso di residenza signorile fortificata>> Strutturalmente l’abitato di Mercato Sanseverino restituisce l’idea di un aggregato antico di corti, e di piccole sale ove il primario indizio dei dintorni si subordinava piano piano alla creazione di slarghi, platee, cortili in uso ai servizi mercatali da ognuno conosciuti. Ruggiero ha a disposizione industria agraria, alimentare e commercio, e ne regola i corsi dal castello (intus ipso castro). Il 90% degli atti visti finora mostra in castello – tranne qualche caso eccezionale come il nominato priore – soldati, militi, gente di servizio, figli e nipoti. Non c’è, come suol dirsi, popolo. In poche parole, il castello vien su lì dove è sorto un micro centro vallivo urbano, o comunque demico se non vogliamo credere ad un che di costituito, e lo vediamo in tanti castelli della provincia”, P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. II. Dalle signorie alle contee ai principati (1081-1568), op. cit., pp. 67- 76-77-78.
- “Ruggiero si sente nei suoi domini come un capofara, del tipo consegnato dalla tradizione longobarda così ben restituita da Bona, cioè il movimentista di territori suoi propri di competenza, e deteneva un ceppo clanico generale di cui era capofamiglia e al quale i membri di esso erano sottoposti, anche strettissimi, fratelli cadetti (o maggiori se avessero scelto altro tipo di esistenza)”. P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. II. Dalle signorie alle contee ai principati (1081-1568), op. cit., p. 78.
- “È sufficiente a nostro avviso ripercorrere le vicende narrate . Giordano, conte di Ariano, incontra alle porte di Nusco il duca Guglielmo, evidentemente signore anche di quella città, e lo ingiuria minacciandolo di <>. Il Duca non solo subisce l’affronto, ma assiste impotente al saccheggio della cittadina, effettuato dalla soldataglia che era agli ordini del Giordano; decide, però, di vendicarsi; all’uopo chiede aiuto al cugino Ruggero, gran conte di Sicilia, che gli fornisce armi e danaro. Il duca Guglielmo affronta quindi il Giordano, asserragliatosi nel castello di Apice e lo costringe alla resa dopo tre mesi di assedio; lo fa altresì prigioniero, ma, per intercessione di altri baroni, gli risparmia la vita. Si reca successivamente a Montecorvino presso Salerno, ove pone l’assedio a quel castello, ottenendone la resa”. A. Cerrone, Acerno nell’ottocento, op. cit., p. 256.
- A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 19-42.
- “Dux ipse (Guglielmo) Montem Corvinum, Salerni proximum , obsedit; Fulco itaque, dominus castri illius, quia resitere non poterat, castellum illud ducis submisit potestati”. Falconis Beneventani Chronicon Beneventanum, ediz. E. D’Angelo, Firenze 1998 a. 1122, I. 15, pp. 68-70. “Nel luglio 1122, il Duca assediò Montecorvino, ch’è vicino Salerno e Fulco che n’era Signore, non potendolo difenderlo, lo soggettò al dominio del Duca”. A. Di Meo, Annali critico diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età, vol. IX. Napoli MDCIV.
Dal Duecento al Cinquecento
Note:
- C. Carucci, Codice Diplomatico Salernitano sec. XIII, II, op. cit., pp. 253-413-500. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 22-23- 52.
- “16 settembre 1296: Il pagamento del castellano e dei serventi del castello di Olevano si prelevino sui fiscali di Olevano e Montecorvino. Item per aggiustare il castello e la torre grande, danneggiata da un fulmine, si prelevino dalle entrate di Olevano e Montecorvino”. C. Carucci, Codice Diplomatico Salernitano sec. XIII, op. cit., pp. 523-524.
- “steterunt in tenimento di Montiscorbini per duos dies”. C. Carucci, Codice Diplomatico Salernitano sec. XIV, Subiaco 1950. pp. 20 a 29. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 23.
- M. Inguanes – L. Mattei Cerasoli . P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, città del Vaticano – Biblioteca Apostolica MDCCCCXLII.
- “Cervo Palmieri, Vicario dei castelli di Olevano e Montecorvino”. B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle Provincie Meridionali d’Italia, vol. V, Napoli MDCCCCXXIX, p. 129.
- L. Bonincontri, Annales 1360-1458, in L.A. Muratori, Scriptores Rerum Italicarum, XXI; Milano 1732,p. 60-61. Documento n. I.
- A. Valente, Margherita di Durazzo Vicaria di Carlo e tutrice di Re Ladislao, in A.S.P.N., n. 48, a. 1915, pp. 189-190.
- A. Valente, Margherita di Durazzo Vicaria di Carlo e tutrice di Re Ladislao, op. cit., pp. 182-183.
- “Uno di questi era Filippo Grillo, canonico e diacono della Chiesa Metropolita, come è documentato nel febbraio 1392. Nel mese di agosto dello stesso anno nomina rettore della chiesa parrocchiale di S. Matteo di Pugliano il chierico Guglielmo Solimene”. G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell’opera dei sui vescovi (sec. V-XX), vol. I, Napoli-Roma 1976-1984, p. 378. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 34.
- G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell’opera dei sui vescovi (sec. V-XX), vol. I, op. cit., p. 380. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 34-35.
- A. Valente, Margherita di Durazzo Vicaria di Carlo e tutrice di Re Ladislao, op. cit., p. 183. Giovanni da Barbiano, figlio di Alidosio e fratello di Alberico, conte di Cunio e famoso capitano di ventura. M Tabanelli, Romagna Medievale. I conti di Cunio e da Bartbiano, Faenza 1972, pp. 94-95.
- A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 34 a 36.
- 23 settembre 1417. G. Paesano, Memorie per servire alla storia della Chiesa salernitana, Napoli, 1846-1857, III, p. 345. G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell’opera dei sui vescovi (sec. V-XX), vol. I, op. cit., p. 393.
- “Ottobre 1437: L’Arcivescovo di Salerno concede a Giovanni Barrachijs, di Napoli, un certo Feudo, consistente in un territorio seminatorio dicitur lo Piano del Castello, con arbori, giusto la vigna di Luca Pico, giusto oliveto del Feudo, l’oliveto di Riccie de Giorgio, giusto Castrum Montiscorbini. Un castagneto qui dicitur lo Donico, sotto detto Castro, giusto la tempa di detto Castro, giusto il castagneto di Bartolomeo Napolitano, giusto la via pubblica, giusto casale Oceani, giusto Pozulum, giusto ecclesia Santi Ronzi. Un tenimento qui dicitur Vinea Dominica, giusto via di detto Castro, giusto ecclesia Santi Petri, giusto via pubblica da due parti, giusto Russi Marino. Item un tenimento detto lo Torello, consistente in più membri, vigne, terreni seminatori, macchie di mortelle, giusto detto casale, giusto via pubblica a due parti, giusto ecclesia Santi Bartolomei, giusto vallone qui dicitur Trauso”. A.D.S., Reg. Mensa n. 33 . Foto del documento. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 54-55.
- P. Natella, I Sanseverino di Marsico. Una terra un regno. II. Dalle signorie alle contee ai principati (1081-1568), op. cit., p. 450.
- “marzo 1486: A Giovanni Catalogna è stata data la somma di duc. 200 per mandarli in Montecorvino ai fanti della compagnia di Michele Corso”. N. Barone, Le cedole di tesoreria nell’Archivio di Stato di Napoli 1460-1504, in A.S.P.N., n. IX a. 1884, p. 613.
- “tra i fornitori dei castelli risultano Accurso Pico per duc. 24, il 3 ottobre Gabriele Guglielmotta per duc. 6, il 13 ottobre Jacobello Bracale per duc. 10. Nel 1495, l’arcivescovo spende per i su detti castelli duc. 768”. A.D.S., Reg. Mensa n. 24. Coll. K. 24. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 55.
- “11 settembre 1544 apud castro terra Montecorvino: presa di possesso di una vigna sita ubi dicitur Castello”. A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3245. “27 aprile 1627: fossato del castello”. A.S.S., notaio A. Meo, 3286. “18 febbraio 1692: pianello e mura del castello”. A.S.S., notaio G. Abinente, B. 3312.
- F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 101.
- F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 24.
- A.S.S., notaio D’Amore, B. 4836. Documento n. II.
- Documento di nomina del 15 aprile 1528. G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell’opera dei sui vescovi (sec. V-XX), vol. I-IV, op. cit., 74-75.
- C. Carucci, Un feudo ecclesiastico nell’Italia Meridionale. Olevano sul Tusciano, Subiaco 1938, in copia anastatica del dicembre 2000, pp. 64-65.
- A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3246 . documento n. III.
- A. Balducci, Gerolamo Seripando, Cava dei Tirreni . G. Crisci, Il cammino della Chiesa salernitana nell’opera dei sui vescovi (sec. V-XX), vol. I-IV, op. cit., p. 408.
- C. Carucci, Un feudo ecclesiastico nell’Italia Meridionale. Olevano sul Tusciano, op. cit., pp. 63-64.