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Cornea nel Medioevo

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Sul versante est del fiume Cornea, nei luoghi denominati Pezza de Campo de Crogna, Pezza e Isca, durante il periodo latino medievale, si costituirono varie aree agricole, appartenenti al possessores di Fontigliano e concesse a vari contadini dipendenti. La posizione relativamente nascosta, la presenza del fiume e di sorgenti di acqua favorì, probabilmente l’insediamento di una o più famiglie.
L’arrivo di una fara longobarda a Piano Antico, avvenuto, probabilmente, negli anni 70 o 80 del VI secolo, provocò una sostanziale mutazione della geografia dei siti abitati. Lungo l’asse viario Faragna-Cornea-Pezze fu fondato, probabilmente nel corso dell’VIII secolo, un nuovo insediamento longobardo da un exercitales legato al faraman di Piano Antico. Intorno al centro demico, posto vicino al fiume Cornea, in posizione accline e in forte pendio, si sviluppò nei tre secoli successivi un piccolo villaggio, abitato da allodieri e cortisani che dissodarono e misero a coltura i terreni circostanti. Grazie alle capacità dei suoi abitanti e alla fortuna economica di un piccolo proprietario locale fu fondata una chiesa dedicata a S. Eustachio. L’agiografia del Santo, protettore della caccia, e la vicinanza alla vasta zona boscosa del monte Foresta favorirono l’estensione del culto a buona parte degli abitanti dei villaggi vicini, consentendo l’ampliamento dell’edificio e la costituzione di un ricco beneficio ecclesiastico. Nella dinamica abitativa esistente fra i vari siti della nostra zona, assistiamo all’abbandono di Piano Antico e l’evoluzione demografica di Costa della Corte, che costituisce, senza dubbio, il primo nucleo abitato dell’attuale villaggio di Cornea.

Il periodo normanno rappresentò per il villaggio longobardo l’inizio di un lungo e lento spopolamento fino al definitivo abbandono, avvenuto, probabilmente, nella seconda metà del XII secolo. Nella parte est del Cornea, oltre a Costa della Corte, vi era un mulino, costruito, con molta probabilità, nell’XI secolo da un consorzio di piccoli proprietari e, in seguito, acquisito per metà da Guglielmo I, Conte di Principato. Nel XII secolo il manufatto molitorio passò nelle mani dell’Arcivescovo di Salerno, il quale, grazie alle sue prerogative feudali, monopolizzò la molitura del grano e dei frumenti prodotti a Montecorvino, costringendo i suoi vassalli a servirsi solo del mulino di S. Eustachio.

02
Il nuovo signore feudale favorì la nascita di nuovi personaggi, legati e fedeli alla Chiesa di Salerno, assegnando loro concessioni e uffici feudali. Grazie a questa nuova élite la sponda ovest del Cornea fu interessata dalla gemmazione di nuove piccole entità umanizzate, abitate dalle famiglie Gallo, giudice Amato, Cesaro, Caroprese (1) e Damolidei. Costituite da case a corte chiuse con porta sotto arco, si svilupparono lungo l’asse viario Molinati-Cornea-Isca durante il ‘300.
La presenza di una vasta proprietà boscosa, appartenente alla Mensa Vescovile di Acerno, consentì nel corso del XIV e XV secolo un aumento dell’allevamento di pecore, favorendo l’arrivo di pastori da vari abitati di Montecorvino e Acerno. Durante il ‘400 assistiamo a un aumento socio economico e demografico della popolazione dei vari piccoli borghi, alla costruzione e ampliamento del costruito e alla presenza di diversi nuclei famigliari appartenenti ai Corrado, D’Alessio, Salicone, Scafilo, Guerra e Damolidei. Il toponimo Cornea (2) è documentato nel 958 in una donazione fatta da Gisulfo ad Amato, Vescovo di Salerno (3). Il termine come si evince dalla stipula indica solo il fiume e non l’abitato, che verrà denominato con tale nome, probabilmente, nel corso del XIV o XV secolo. L’idronimo Cornea deriva dal latino Cornius “corniolo” da cui Cornea, albero del corniolo. Dizionario Italiano di De Mauro
Note
  • Questi casati sono di Montecorvino e vissuti nei vari villaggi per cui la loro localizzazione a Cornea e solo in forma ipotetica. A.D.S., Fondo Pergamenaceo, Arca III, A – 9 184 Por 801.
  • L’idronimo Cornea deriva dal latino Cornius “corniolo” da cui Cornea, albero del corniolo. Dizionario Italiano di De Mauro.
Corniolo

Cornus mas LInneo 1753

Famiglia: Cornacee

Nomi dialettali: Crugnale (Umbria), Corvaro(Lazio), Prugnale (Abruzzo), Crognolo (Campania), Crugnaro (Calabria).

I cornioli sono arbusti alti fino a 5 metri con foglie ovate ed opposte. Il frutto del corniolo è una drupa (frutto carnoso) con la forma di uovo allungato. E’ di colore rosso scarlatto dal sapore acidulo. Gli infusi dei frutti sono ottimi nei casi di dissenteria. In Italia si trova in tutta la penisola e predilige i terreni calcarei. Vive nelle radure e sulle sponde di fiumi e torrenti. Il legno di corniolo è un legno molto duro, gli antichi romani ne facevano punte di lance e di frecce, nonché i raggi per le ruote dei carri. Attualmente viene usato nella fabbricazione delle pipe.

A cura di Rodolfo Tulipano
  • “958 marzo, Salerno, in sacro palatio: Gisulfo principe, su petizione di Pietro , vescovo di Salerno, concede alla Chiesa salernitana tutto quanto possiede tra il ruscello Trauso e i fiumi Cornea e Tusciano. << … Da ribus qui dicitur Transu e usque acquam de Cornia et da ipsa Cornia usque flubium Tuscianum ..>>. A. Giordano, Le pergamene dell’Archivio Diocesano di Salerno (841-1193), Battipaglia 2015, pp. 6-7.

Isca e la Peza

01
Dall’abitato di S. Lazzaro parte una via che svoltando in direzione nord al ponte della Pezza (1), costeggia il Cornea fino alla confluenza del vallone Crognicella, nel luogo denominato Varco della Gota (2), dove nasce un antico sentiero che conduce alla Fara (Faragna) e Piano Antico (3). Nel periodo latino medievale l’intera area, compresa fra il ponte della Peza (4) e la Faragna (5), per le sue caratteristiche geografiche e idriche fu parzialmente coltivata da contadini residenti in loco o nel vicino fundus di Fontigliano.
Nel V e VI secolo, probabilmente, la posizione nascosta del sito favorì l’insediamento di una o più famiglie di contadini o pastori con relativo ampliamento dei coltivi e dei prati. L’arrivo dei Longobardi e il loro insediamento sul monte Faragna causò l’emigrazione dei residenti e l’abbandono dei fondi agrari.
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Note
  1. “11 luglio 1690: Lo ponte della Peza da sopra il casale della Corgna”. A.S.S., notaio G. Abinente, B. 3313.
  2. “20 ottobre 1555: Il Magn. Innocenzo D’Alessio vende a D. Gio Pietro Barbiero, D. Silvestro Pico e D. Maffeo D’Alessio, Cappellani della chiesa di S. Eustachio, la terza parte di un oliveto, sito in casale Cornea e proprio dicitur Varco dela Gota, confinante con Remedio Diomelodiede, fiume Cornea e altri per un prezzo di duc. 3” A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
  3. “16 giugno 1566: Innocenzo D’Alessio dona alla Venerabile Confraternita del SS.mo Corpo di Cristo di S. Eustachio un olivito, sito nel casale Cornea, nel loco ditto lo Varco dela Gota, giusto via pubblica, eredi di Cesare D’Alessio e Vallone Cornie che scende da Imbracchio”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253.
  4. “24 agosto 1762: oliveto sito nel luogo detto l’Ische o sia la Pezza”. A.S.S., notaio M. Ragone, B. 3384.
  5. “15 ottobre 1710: Isca della Faragna”. A.S.S., notaio A. Satriano, B. 3331. “19 agosto 1712: La Peza seu la Gota, confinante col fiume Cornea. A.S.S., notaio A. Satriano, B. 3332.

Faragna-Piano Antico

01
Nei primi anni della conquista longobarda di Benevento diverse fare furono inviate a presidiare le vallate del Picentino, del Tusciano e del Cornea (1). Durante gli anni ’70 o ‘80 del VI secolo, probabilmente, una di queste si insediò a Campo Rotondo (2), luogo posto nella parte alta della Crognicella, lungo uno o più sentieri viari e vicino a una sorgente di acqua. Il nome del sito indica la conformazione dell’accampamento militare, presidiato da vari exercitales, guidati da un Faraman. La scelta del luogo era dovuto sia alla posizione strategica, facile da presidiare e ben collegato con le altre fare, sia alla vicinanza a diversi fundus e insediamenti agrari delle vallate del Tusciano e del Cornea e della Piana di Montecorvino.
I Longobardi della prima fase della conquista vivevano ai danni delle popolazione locali, rubando e razziando le varie fattorie e villaggi esistenti nel contado salernitano. Il permanere dell’accampamento di Campo Rotondo e le continue devastazione e scorrerie, costrinse i vari proprietari terrieri salernitani a pagare un tributo annuo in denaro o in natura, versando parte dei coltivi prodotti nei loro fondi a questo gruppo faramannico.
Le condizioni di relativa sicurezza e le possibilità economiche che la vasta zona offriva, permise alle famiglie della fara di trasferirsi da Benevento a Piano Antico (3). Il sito scelto era posto in luogo piano, delimitato da due valloni, attraversato da alcuni sentieri e relativamente sicuro e difendibile da eventuali incursioni bizantine. Il sistema di difesa fu ampliato con la costruzione di due piccoli fortilizi in legno sulle due castelluccie, per controllare la vallata della Crognicella e i due tratturi viari che conducevano all’insediamento longobardo. Le due castelluccie erano presidiate da due exrcitales e avevano la funzione di segnalare alle postazioni di Campo Rotondo e Toppa della Faragna l’arrivo di eventuali nemici (4).
Il villaggio della fara era costituito dalle case in legno del faraman e degli exercitales, da depositi e stalle poste all’interno di un recinto in legno con relativi cancelli di ingresso. I terreni boscosi circostanti erano di proprietà dell’intero villaggio e costituivano una notevole fonte di ricchezza. I suoi abitanti, infatti, erano dediti sia all’allevamento dei maiali, dei cavalli e di altri animali domestici sia al taglio dei boschi da cui ricavavano il legname necessario alle loro necessità quotidiane. L’insediamento venne chiamato nei secoli successivi Antico e Piano di Antico, nome utilizzato dalle popolazioni di Montecorvino per indicare il luogo dove abitavano i loro antenati longobardi (5).
02
Nel corso dell’VIII secolo l’insediamento, probabilmente, mantenne parzialmente le prerogative precedenti, divenendo la meta di nuove famiglie longobarde provenienti dalle zone interne. I nuovi arrivati, insieme ai vecchi abitanti, appartenevano alla classe degli exercitales, proprietari di boschi ed animali domestici ed esercitavano i mestieri di falegnami, pastori, conduttori di maiali, boscaioli e carbonari. Il tono demografico si mantenne, con molta probabilità, costante fino alla prima metà del IX secolo con un continuo andirivieni di nuove famiglie e l’emigrazione di altre verso i villaggi longobardi vicini.
La separazione di Salerno da Benevento e la costituzione di una nuova entità amministrativa provocò una lenta e inarrestabile decadenza demografica e socio economica del vecchio insediamento di Piano Antico e l’emigrazione di buona parte dei suoi abitanti. Il sito venne denominato Antico, nome documentato nel 1370, quando risulta il limite territoriale fra le Università di Montecorvino e Acerno (8).

Note

  • “Nella zona montuosa del nostro territorio riscontriamo la presenza dei toponimi Faragna, Farinola e Farmano, che ci richiama al termine più antico della presenza longobarda: la Fara”. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, Battipaglia 2001, p. 13.
    “Il libro XI dello pseudo Maurizio è dedicato alla abitudini di guerra dei vari nemici dei Bizantini. I Longobardi già al tempo di Alboino si presentano con una organizzazione militare. Il carattere della loro penetrazione in profondità su alcuni capisaldi bizantini, lascia chiaramente intendere che le loro fare erano dei gruppi di guerrieri a carattere gentilizio impiegati come tali in combattimento. Del resto lo pseudo Maurizio lo dice chiaramente”. F. Sabatini, Riflessi linguistici della dominazione longobarda nell’Italia mediana e meridionale, in Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere la”Colombaria”, n.s. XIV, XXVIII, 1963-64, pp. 146-147. A. Pertusi, Ordinamenti militari bizantini, in Ordinamenti militari in Occidente nell’alto medioevo. Settimane di studio del CISAM, XV, Spoleto 1967, p. 673. P. Natella, Vignadonica di Villa: Saggio di Toponomastica Salernitana, Agropoli 1984, p. 14.
  • A. Cammarano, Riflessi di latinità nella toponomastica dell’Agro Picentino, in R.S.S. n. 23, p. 64.
  • “Il termine fara, nella prima fase della conquista longobarda, ebbe il significato di corpo di spedizione, che si componeva di gruppi gentilizi. Più tardi, quando gli scopi militari dell’espansione incominciarono a venir meno, indicò un nucleo abitato o una unità di insediamento. Solo più tardi, quando le migrazioni delle fare più non ebbero scopi militari e il popolo invasore aspirò a una stabilizzazione e ad un più diretto possesso delle terre conquistate, la fara si trasformò in una unità di insediamento: la parola stessa venne così a designare il luogo di residenza del nucleo longobardo ed anche l’intera unità territoriale assegnata ad essa”. F. Sabatini, Riflessi linguistici della dominazione longobarda nell’Italia mediana e meridionale, op. cit., p. 147.
  • “La località comprende altri toponimi quali le Castelluccie e Campo Rotunno, cosa che fa presupporre che inizialmente l’insediamento fosse a carattere militare, sotto la guida del Faraman, proveniente da Benevento. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 118.
  •  “Il nome Antico è dovuto, quasi certamente, alla popolazione di Montecorvino per indicare che il luogo in passato era abitato da genti longobarde”. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 118.
  • “Il toponimo deriva da Faraman, il quale indicava il nobile longobardo dipendente dal Duca di Benevento. Ottavio Bertolini a pagina 513, nelle note riporta A. Cavanna e il suo studio sui toponimi della Lombardia e del Piemonte dove cita Faramagna, Faramannia, Faramagnia e Faramania”. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 118-125.
    “…. C’è un perfetto parallelismo fra l’organizzazione faramannica e quella arimannica, poiché la base comune è il servizio militare, il presidio di luoghi di interesse strategico o comunque militare, la concessione di terre in parte appoderate ed in parte di uso comune (pascoli e boschi), ma la differenza fondamentale è nella direzione della fidelitas che lega l’exercitales al capo: Il faramanno al suo dux (e solo mediatamente al re attraverso la fidelitas del duca), l’arimanno direttamente al re …”. C. Mor, Lo stato longobardo nel VII secolo, in caratteri del secolo VII in Occidente, Settimane di studio del CISAM, V, Spoleto 1958, pp. 280-281.
  • “24 novembre 1588: Un oliveto sito in loco lo Chianello, sopra il casale de Votraci, e sopra la Ripa della Manda, confinante con detta Ripa della Manda e con Rettoria di S. Maria della Pietà”. A.S.S., notaio V. Vasso, B. 3262.
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 33. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 27-43.

La Foresta e Madonna dell’Eterno

01
Nel corso del Medioevo si costituì una vasta proprietà boscosa, appartenente alla Mensa Vescovile di Acerno, chiamata nel corso del ‘500 la Foresta di Monsignore (1). Non sappiamo i modi e le forme di tale accumulazione fondiaria ma possiamo ipotizzare che a una donazione iniziale da parte di un dominus ci siano state diverse compere e acquisizioni nel corso del tempo da parte dei Vescovi di Acerno. Costituita da molteplici varietà di alberi, soprattutto querce, prati e sorgenti di acqua, veniva affidata in fitto a diversi appaltatori mediante asta pubblica ad “accensione di candela”. Alcuni pezzi di bosco, limitrofi ai coltivi e agli abitati di Cornea, Molinati e Ferrari, furono assegnati in concessione feudale da parte della Mensa Vescovile a vari personaggi vicini alla chiesa vescovile con l’obbligo di disboscarli e migliorali, impiantando la vite, l’olivo e altri alberi da frutto (2).
La parte bassa, ricca di valloni e sorgenti, fu frequentata da eremiti provenienti da diverse parti dell’Italia Meridionale. Il toponimo di Santa Maria dell’Eterno è composto dall’agionimo Santa Maria e un oronimo ternum, che indica “vallone roccioso o monte” (3). Dalla visita pastorale di Mons. Glielmi del 1665, apprendiamo che Santa Maria dell’Eterno veniva detta anche Santa Maria delli Valloni” (4). Da ciò si può desumere che in origine il culto era localizzato in una capanna eremitica (5) o in un anfratto del monte Foresta: la tradizione identifica tale luogo nella grotta sottostante l’attuale santuario.
Nel tardo medioevo la presenza costante di pastori e contadini nel sito portò in auge il culto della Madonna della Terna, tanto che l’icona fu spostata dall’anfratto ad una nuova sede più confacente al culto con la costruzione di una cappella. I lasciti e donazioni fatte dai fedeli favorirono la costituzione di un beneficio, gestito dal clero locale (6).
La piccola cappella, probabilmente, fu costruita tra fine del Quattrocento e i primi decenni del XVI secolo su iniziativa concorde del Vescovo, del clero e dei fedeli. La tradizione locale, alimentata dalla fede del popolo, riconduce la scelta del luogo dove fu costruita la cappella al miracolo della neve, tanto cara alla tradizione cattolica nella edificazione della prima basilica mariana a Roma di S. Maria Maggiore (7).
Al disotto della Madonna dell’Eterno, lungo l’antico sentiero Costa della Corte-Madonna dell’Eterno, ai margini del manto forestale, esisteva, probabilmente, un edificio di dimensione variabile, costituito da abitazione, stalle, depositi per le masserizie e cortile, richiusi da mura con entrata sotto arco. Il fabbricato rappresentava una masseria con funzioni silvo pastorali e controllo delle via di accesso alla vasta proprietà boscosa della Mensa Vescovile di Acerno. Non è improbabile, quindi, che appartenesse all’ente ecclesiastico e utilizzato di volta in volta dai vari appaltatori della Foresta. Per questo motivo era anche il punto di raccolta dei coltivi da parte dei concessionari feudali o dei piccoli affittuari dei fondi esistenti a Madonna dell’Eterno. Il sito viene ricordato nel ‘700 col nome la Murata (8), chiaro indizio della presenza dei resti di un caseggiato tardo medievale, abbandonato, con molta probabilità, nei primi decenni del ‘500.
La presenza di un ramo della famiglia Damolidei nel villaggio di Cornea (9) ci fa ipotizzare che questa famiglia in origine si sia trasferita da Olevano a Cornea e precisamente in uno dei due luoghi chiamati La Murata. La sua posizione geografica, alla base della foresta dei Vescovi di Acerno, e le attività di pastori e gabellotti svolte da alcuni suoi membri sono dei validi indizi per ipotizzare che il che il nostro centro dominico sia stato fondato dal padre dei due fratelli Damolidei.
“Questa famiglia eminente ed importante di Olevano, documentata nel 1203 con un Demeloddeus, era nel XIII secolo una delle più importanti dell’Università. Mantenutasi lontano dagli incarichi durante i disordini di fine secolo, ricompare nel 1307 con “Deumilududum, sindacos di Olibano” (10). La fedeltà dimostrata alla Chiesa di Salerno consentì alla famiglia di ricevere incarichi e concessioni feudali ad Olevano e Montecorvino. La famiglia si trasferisce nel nostro luogo negli anni ’30 del Trecento, quando il padre dei fratelli Damolidei acquista e riceve la gabella degli erbaggi per conto degli Arcivescovi Feudatari. Alcuni anni dopo, Gregorio, insieme al fratello, ricopre il ruolo paterno di esattore degli herbaggi, gabella molto importante e fra le più lucrose dell’Università. Nel 1370, il Damolidei afferma: “sul quarto [articolo] … [interrogato] sulle circostanze disse che lo stesso teste per tutte le cose, e aggiunse che lo stesso teste e suo fratello comprarono il detto erbaggio per sessantadue once dagli Ufficiali del signor Arcivescovo. Interrogato da quanto tempo disse da quarant’anni” (11). Da quanto detto dal Nostro la cifra da corrispondere alla Chiesa di Salerno era di ben oncie 62, una somma notevole per un tipo di gabella molta onerosa, la quale richiedeva molto impegno nella gestione e nella riscossione in un territorio vasto e ampio quale era il “Tenimento di Montecorvino”. I fratelli Damolidei, quindi, oltre ad avere una grossa disponibilità finanziaria, erano in grado di esercitare tale incarico, avendo al loro sevizio diversi uomini armati e aderenze amicali con le varie famiglie eminenti di Montecorvino.
02

Note

  • “15 ottobre 1594: La Mensa Vescovile di Acerno possiede una foresta sita sopra Santa Maria dela Terna, volgarmente detta la Foresta di Monsignore”. A.S.S., notaio V. Vasso, B. 3264.
  • “29 dicembre 1553: D. Joe Giacomo Rodoero di casale S. Martini, in qualità di Procuratore del Capitolo di S. Pietro de Rubella, assegna in perpetuo ad Annibale Diomelodiede, del casale Cornie, quondam Feudo, posto ubi dicitur Santa Maria dela Terna, confinante con gli eredi del fu Gregorio Diomelodiede, via pubblica, giusto vallone et altri confini, per un estaglio annuo di grana 15 da pagarsi nel mese di agosto nella festività di S. Donato. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
  • P. Natella, Vignadonica di Villa: Saggio di Toponomastica Salernitana, op. cit., p. 2. D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, op. cit., pp. 65-101.
  • Visita Pastorale di Mons. Glielmi del 1665. A.D.S., Fondo Acerno Visite Pastorali 1612-1734, coll. N. 27. S. Paraggio, La Chiesa di S. Pietro. Insigne Collegiata Matrice Curata. Notizie e documenti, Battipaglia 2003. D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, op. cit., pp. 65-101.
  • “Il culto di origine medievale, è documentato nelle nostre zone da recenti studi storiografici”. A. Galdi, Santi Territori Poteri e Uomini nella Campania Medievale, Serino 2004.
    “Nel 1327 vi fu un lascito di Putifredo di una tunica bianca per tutti gli anacoreti della zona di Eboli, una presenza questa assai significativa per delineare un quadro della religiosità locale, ma di cui altrimenti non avremmo notizie”. G. Vitolo in Presentazione del volume: C. Carlone, I regesti delle pergamene di S. Francesco di Eboli, Salerno 1986, p. XII.
  • “Intorno a questo eremo si sviluppò una particolare devozione che favorì, attraverso lasciti e donazioni, la fondazione di un Beneficio, gestito dal clero locale. Le relazioni dei vescovili del XVII secolo ci informano che la conduzione religiosa ed economica della cappella era affidata al Primicerio del Capitolo di S. Pietro” D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, op. cit., pp. 65-101. S. Paraggio, La Chiesa di S. Pietro, op. cit., pp. 49-127.
  • Il vallone della Madonna dell’Eterno non è l’attuale sito dove la tradizione pone la grotta ma è quello che precede il piazzale e l’attuale santuario. Nei vari documenti seicenteschi, infatti, il vallone della Madonna dell’Eterno e la via pubblica che conduceva alla piccola chiesetta sono chiaramente identificati con il vallone che dall’attuale piazzale scende al piccolo bacino del mulino e confluisce poi nel fiume Cornea. Nel mese di agosto del 1697, “il Capitolo di S. Pietro possiede un territorio con alberi di querce, olive e terra vacua ed incolta, sita e posta nel luogo detto il Moro, proprio nel casale Cornea, giusto i beni degli eredi del fu Agostino D’Alessio, giusto l’oliveto del Rev. D. Pietro Paolo e Orazio Provenza, corso dell’arcatura, Beneficio di S. Antonio della famiglia Notargiacomo, giusto il vallone di Santa Maria dell’Eterno”. A.S.S., notaio G. Abinente, B. 3315, 26 agosto 1697.
  • “10 settembre 1764: Pascale Mangino del fu Sabato, del casale Molinati, possiede un oliveto in pertinenza del casale della Corgna, nel luogo da sopra la Murata, confinante con la via pubblica, co il Tempone di S. Lonardo e col Vallone di Santa Maria dell’Eterno”. A.S.S., notaio S. Corrado, B. 3352.
  • “29 dicembre 1553
    D. Joe Giacomo Rodoero di casale S. Martini, in qualità di Procuratore del Capitolo di S. Pietro de Rubella, assegna in perpetuo ad Annibale Diomelodiede, del casale Cornie, quondam Feudo, posto ubi dicitur Santa Maria dela Terna, confinante con gli eredi del fu Gregorio Diomelodiede, via pubblica, giusto vallone et altri confini, per un estaglio annuo di grana 15 da pagarsi a detto Capitolo nel mese di agosto nella festività di S. Donato”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
  • “Uno dei gruppi famigliari più importanti ad Olevano tra i secoli XIII e XIV sembra essere quello dei Demiludedis. Un Demeloddeeus è ricordato tra i boni homines dell’inchiesta di Niccolò d’Aiello del 1203 mentre nel 1233 Petrus Demiludedis è baiulo di Olevano, personaggio in grado probabilmente di acquistare tale magistratura – si ricordi che l’ordinamento federiciano prevedeva che tale ufficio potesse essere concesso gratuitamente e a titolo oneroso, in ogni caso solo a personaggi di comprovata fedeltà al sovrano e rettitudine. Si tratta probabilmente dello stesso giudice Petrus de Demilodedis, testimone (ad hoc specialiter convocatus) nel 1240 della ricordata compravendita di una parte di un trappeto che vide come attore l’arcivescovo Cesario. Un altro iudex Demiludedi compare in un atto del 1250. Poi una lunga assenza nei documenti fino a giungere al 1307 quando un giudice Deumilududum capeggia i sindaci, procuratores et nuncios eletti dagli olevanesi, concives eorum de melioribus, nel riconoscimento definitivo delle prerogative monopoliste sui frantoi dell’arcivescovo dominus”. A. Di Muro, Terra uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), Modugno 2012, pp. 139-140.
  • “Gregorio di Damolidei testimone, chiamato, giurato ed interrogato … sul quarto [articolo] … [interrogato] sulle circostanze disse che lo stesso teste per tutte le cose, e aggiunse che lo stesso teste e suo fratello comprarono il detto erbaggio per sessantadue once dagli Ufficiali del signor Arcivescovo. Interrogato da quanto tempo disse da quarant’anni”. A.D.S., Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 24 a 33.

Pezza de Campo de Crogna

01
Sul versante est del fiume Cornea, di fronte al fundus di Fontigliano, si costituì, durante il periodo latino medievale, un’area agricola affidata a vari dipendenti del possessores di Fontigliano. Le sue caratteristiche orografiche consentirono per tutto il Medioevo una certa continuità agraria con la coltivazione di grano, uva, olive e castagne.
Nei prima metà degli anni ’40 del XIV secolo, il Dominus Guglielmo Gallo di Montecorvino compra due castagneti con terra incolta, siti nella vallata del Cornea, poco al di sopra del villaggio di Cornea, da Nicolò Giudicemattei e da Robinia, figlia del fu Amato. I due fondi erano feudi della Chiesa di Salerno, concessi in precedenza ai Giudicemattei e al giudice Amato previo pagamento ogni anno di una libbra di cera lavorata. D. Guglielmo per legalizzare pienamente il suo acquisto si reca nel maggio del 1345 nella curia arcivescovile di Salerno davanti all’Arcivescovo Benedetto. Il Gallo, dopo aver presentato l’atto di acquisto dei due cespiti feudali, chiede et ottiene il necessario assenso dall’Arcivescovo, impegnandosi a pagare ogni anno il dovuto censo di una libbra di cera lavorata (1).
Nel tardo medioevo la presenza costante di pastori e contadini nel sito portò in auge il culto della Madonna della Terna, tanto che l’icona fu spostata dall’anfratto ad una nuova sede più confacente al culto con la costruzione di una cappella. I lasciti e donazioni fatte dai fedeli favorirono la costituzione di un beneficio, gestito dal clero locale (6).
La piccola cappella, probabilmente, fu costruita tra fine del Quattrocento e i primi decenni del XVI secolo su iniziativa concorde del Vescovo, del clero e dei fedeli. La tradizione locale, alimentata dalla fede del popolo, riconduce la scelta del luogo dove fu costruita la cappella al miracolo della neve, tanto cara alla tradizione cattolica nella edificazione della prima basilica mariana a Roma di S. Maria Maggiore (7).
Nell’ultimo quarto del ‘300, la vasta area denominata Campo de Crogna e Peza de Campo de Crogna, posta lungo le sponde del Cornea, venne assegnata dall’arcivescovo Guglielmo a Benuto de Mastro Morretta (2) e ad un membro della famiglia Denza di Olevano (3). La vicinanza ai villaggi di Ferrari, Molinati e Cornea e l’intenso sfruttamento agrario e pastorale portarono all’estensione del termine Pezze ai confini dei vecchi fundus di Arpignano e Maiano.
02

Note

  • “Nella Città di Salerno, anno 1345, mese di Maggio, giorno 13, avanti a Noi Simone Capograsso, Giudice della Città di Salerno e i Testi qui vocati Domino Johanni Trotta (Troccu o Trocta) de Acerno, presbitero Cardinale della Majore Ecclesia Salernitana, Abbas Magdaleno, Abbas Petrus de Padula de Pinctulo, Notar Nicolò de Egrario (Agrario).
    Dompnus Guglielmo Gallo de Montecorbino, figlio del quondam (fu) Petri, si accorda e riceve dal Rev. Padre in Christo Benedetto, per Grazia di Dio Arcivescovo di Salerno, in nome della Ecclesia Maggiore di Salerno, il consenso e l’assenso su di una vendita fatta di una integra terra, cu castagneto, che emisse (comprò) da Nicolò Giudicemattei, que pertinente Ecclesie Salernitane in Montecorbino, e precisamante vicino ai beni del fu Pietro …., da altra parte ribus (torrente) Corgne, i beni del relitto Jacomo (o Jovanni) Caroprese, per una metà. L’altra parte emisse (comprò) da Dompnus Robenia, figlia del fu Giudice Amato, similmente pertinente Montecorbino, consistente in una integra terra, in ditto loco, confinante con Nicolò Cesario et altri, in parte coltivata (laborata), con annuo censo alla predetta Ecclesia Maggiore di Salerno. Detto Dompnus Guglielmo promette di pagare detto censo alla detta Ecclesia Maggiore. Il Rev. Padre Benedetto concede il suo assenso su dette vendite.
    Io Notaio Cimino di Salerno ho scritto quanto sopra”
    A.D.S., Fondo Pergamenaceo, Arca III, A – 9 184 Por 801.
  • Feudo di Benuto Magistro Morretta del 12 dicembre 1380: “Item alia terra con olive nel loco ubi dicitur Campo de Corgna, giusto fiume Cornee et alii. Detto bene è devoluto per la morte di Antonii Palleni di detta Terra”. A.D.S., Reg. Mensa n. 33.
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 22, 24 marzo e 21 giugno 1465. Vedi in questo sito alla voce Borghi: Votraci.

Costa della Corte e Valle di Stasio

01
L’insediamento di Costa della Corte, sito al di sotto di un sentiero che collegava la Faragna con le Pezze, Arpignano e la Sala di S. Martino, fu fondato, probabilmente, nella seconda metà del VII secolo da un famigliare o un exercitales legato al Faraman, residente nel villaggio longobardo di Faragna-Piano Antico. Il luogo particolarmente accline e costeggiato da due valloni e nella parte bassa dal fiume Cornea (1), costituiva per la sua vicinanza alla strada Faragna-Isca-Molinati il principale luogo di difesa e controllo dell’intera area e punto ideale per la costruzione di un centro dominico. Nel corso del secolo l’apertura di un sentiero diretto a Piano Antico e Campo Rotondo (2), consentì alle famiglie residenti un migliore sfruttamento dell’area boschiva del monte Foresta. Il sito dove erano poste le abitazioni in legno dell’exercitales e del suo seguito erano poste nella parte bassa del costone, vicino al fiume Cornea, in un luogo piano e particolarmente adatto a diverse coltivazioni: orti, olivi, vite, grano e corniolo. Nel corso dell’VIII secolo, probabilmente, la perdita del ruolo di sentinella e avamposto militare e l’emigrazione del nobile longobardo in altri luoghi provocarono il ridimensionamento demografico e sociale del piccolo centro curtense. Nel luogo, con molta probabilità, rimasero una o più famiglie di allodieri e cortisani, dediti alla coltivazione dei fondi dell’exercitales, alla pastorizia e al taglio del manto boschivo.
Nell’ XI secolo, la presenza della chiesa e la fortuna economica di uno o più allodieri, favorì l’arrivo di nuove famiglie, provenienti dall’insediamento di Faragna-Piano Antico, e la costruzione di altre abitazioni nelle vicinanze dell’edificio sacro e lungo il tratto viario che conduceva a Piano Antico. Il nostro agglomerato, con molta probabilità, in questo periodo era denominato S. Eustachio, toponimo documentato ancora nel 1202.
Nell’ XI secolo, la presenza della chiesa e la fortuna economica di uno o più allodieri, favorì l’arrivo di nuove famiglie, provenienti dall’insediamento di Faragna-Piano Antico, e la costruzione di altre abitazioni nelle vicinanze dell’edificio sacro e lungo il tratto viario che conduceva a Piano Antico. Il nostro agglomerato, con molta probabilità, in questo periodo era denominato S. Eustachio, toponimo documentato ancora nel 1202.
Le mutate condizioni politiche e i nuovi assetti di potere portarono alla perdita di prestigio e di potere economico delle famiglie locali, sottoposte e dipendenti, nella seconda metà del XII secolo, a uno dei militi di Montecorvino. L’intero abitato e la chiesa subirono, con molta probabilità, anche una disastrosa e devastante alluvione che colpì sia la parte alta sia quella posta lungo le sponde del Cornea, causando l’abbandono di una parte della popolazione e la rovina parziale della struttura sacra. L’antica chiesa, già impoverita in precedenza dalla diminuzione delle rendite, venne momentaneamente abbandonata, costringendo il rettore e il cappellano a officiare le messe di obbligo e la festività del Santo in un altro edifico sacro. A suffragare “la nostra ipotesi è un documento del 1202 in cui è citato il toponimo Sanctus Eustachius e un mulino appartenente per metà all’Arcivescovo di Salerno, per l’altra metà a Matteo figlio di Olivieri” (7).
02
Il vecchio edificio venne ristrutturato, con molta probabilità, nei primi decenni del ‘200 per volontà dei fedeli devoti al Santo, soprattutto dai cacciatori che frequentavano le vicine foreste, e dal clero locale. Il rettore e il cappellano, grazie alle vecchie rendite del Beneficio e alle offerte dei figliani del luogo mantennero vivo il culto e lo stato strutturale dell’edificio. Non avendo documenti che ci indicano la vita e la frequenza da parte dei fedeli dell’edificio sacro, si può solo ipotizzare che sia stata aperta al culto per buona parte del Trecento per poi essere definitivamente abbandonata nei primi decenni del XV secolo.

Note

  • Scheda di Costa della Corte in appendice.
  • “30 maggio 1570: Il Magn. Innocenzio D’Alessio vende a Vito Antonio Denza una possessione con alberi di olivi, querce et altri alberi fruttiferi, in pertinenza del casale Cornia, ubi dicitur Costa della Corte, confinante con Agostino de Giglio, Rogeri Pezuti, via pubblica et altri”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3254. Nel 1716, un documento specifica che “il luogo l’Animara era attraversato dalla via pubblica antica”. A.S.S., notaio A. Satriano, B. 3332, 20 aprile 1716.
  • L’aristocrazia longobarda era dedita alla caccia nelle foreste dei monti Picentini per cui si può ipotizzare che la curtis e la chiesa fossero utilizzati come luogo di raduno e residenza momentanea da un nobile salernitano e dai suoi amici.
  • “La fondazione e riconducibile a un tipico insediamento longobardo curtis-chiesa e legata alla diffusione del culto di S. Eustachio nelle nostre zone intorno all’anno Mille: una chiesa omonima è attestata, infatti, nella vicina Olevano nel 985”. D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, op. cit., p. 23. Per la nuova collocazione a Costa della Corte-Valle di Stasio vedi scheda di Valle di Stasio in appendice.
  • M. Morcaldi – M. Schiani – S. Di Stefano, Codex Diplomaticus Cavensis, II, Neapoli 1873-1893, pp. 222-223, 10 marzo 985.
  • “Le fonti cronachistiche, in particolare l’Anonimo salernitano del X secolo, informano di alcuni episodi avvenuti durante le battute di caccia in queste zone. L’elemento selvatico spesso fa da sfondo a storie di violenza e di morte o di apparizioni, e la caccia ne è sovente il filo conduttore”. A. Di Muro, La Piana del Sele in età normanna-sveva. Società, territorio e insediamenti (ca. 1070-1262), Martina Franca novembre 2005, p. 109.
  • “L’uso diffuso tra i Longobardi di frazionare il patrimonio famigliare in più porzioni causò l’impoverimento delle rendite del beneficio e il degrado strutturale del fabbricato.
Successivamente, con molta probabilità, un evento distruttivo determinò il crollo definitivo della Cappella. A suffragare la nostra ipotesi è un documento del 1202 in cui è citato il toponimo <> e un mulino appartenente per metà all’Arcivescovo di Salerno, per l’altra metà a Matteo figlio di Olivieri. Nella parte iniziale dell’atto il notaio specifica che il mulino era posto dove anticamente era eretta la chiesa di S. Eustachio. Il documento non consente purtroppo di stabilire se l’edificio sacro fosse stato ricostruito oppure fosse ancora diruto”. D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, op. cit., pp. 23-24.

La Corte

01
Nel corso del X secolo, probabilmente, fu edificata una curtis, posta vicino l’attuale abitato di Cornea, lungo i margini del vallone Quattrocchi. In un documento del 1623 viene venduto un oliveto chiamato la Corte (1), sito nella parte soprastante il toponimo Cotone (2), tipico antroponimo longobardo, per cui si può ipotizzare l’appartenenza del piccolo fondo curtense a un Cotone, locale proprietario terriero. Costituito da una o più abitazioni in legno, da terreni coltivati a viti, olivi e colture ortalizie, per la sua posizione in pendio e la vicinanza al vallone Quattrocchi, fu abbandonato dalla famiglia residente, con molta probabilità, nel corso del XII secolo.
02

Note

  • “10 settembre 1623: Testamento di Annibale Corrado. Fra i vari beni possiede un oliveto detto la Corte”. A.S.S., notaio A. D’Alessio, B. 3293.
  • “18 febbraio 1751: Li Signori Dott. D. Cesare e Rev. D. Biase Vicinanza, padre e figlio di Montecorvino, dichiarano al Sign. Notar Silvestro Corrado, del medesimo Stato, che possiedono due oliveti, uno detto Cotone o Portella e l’altro al luogo la Pezza. L’oliveto Cotone o Portella è sito nelle pertinenze del casale della Cornia, confina da sotto la via pubblica o sia fiume Cornea, da sopra l’oliveto del Sign. D. Diego Masucci, da due lati esso Notare e uno di quelli col vallone di Quattrocchi. Ora che in occasione dimorano a Salerno, per il cui effetto no possono attendere alla cultura dei due oliveti, e al riparo che ci vogliono nelle dimossoti, nel detto oliveto di Cotone, che vengono minacciati da detto fiume Cornea e dal vallone Quattrocchi, hanno deciso di venderlo al detto Notare per un prezzo di duc. 335”. A.S.S., notaio F. Punzo, B. 3373.

Il Mulino di S. Eustachio

01
Nella parte soprastante l’attuale Mulino di S. Eustachio, sul lato est della stradina che costeggia la costruzione, fu edificato, probabilmente nella prima metà dell’XI secolo, un piccolo mulino ad acqua (1). Costituito da un piccolo fabbricato dove insistevano le macchine dell’opificio, la torre e alcuni vani contigui, utilizzati come depositi e abitazione momentanea, veniva animato dall’acqua del fiume Cornea mediante un canale in legno o in argilla. L’edificio fu costruito, con molta probabilità, da una comunione o società di piccoli proprietari terrieri, su licenza e permesso del Principe di Salerno (2), per offrire a tutti gli abitanti del luogo un opificio dove macinare il grano e altri cereali prodotti nei loro fondi. L’edificazione e l’assemblaggio fu opera, quasi sicuramente, di artigiani italo-greci, esperti e capaci nella costruzione e nella gestione di questi tipi di manufatti proto industriali (3). Nela seconda metà del secolo, probabilmente negli anni ’60, Guglielmo di Principato comprò o acquisì in altra forma la metà del mulino, divenendone di fatto il maggior proprietario (4). La gestione e la manutenzione ordinaria era affidata a maestranze italo-greche, insediate nel vicino villaggio di Botracoru-Greci o chiamati da altri luoghi, mentre le spese necessarie alla sostituzione delle ruote o per aggiustare i macchinari erano a carico della società, costituita da diversi proprietari locali.
Il sito circostante il mulino e i terreni attraversati dall’acqua del canale favorirono le coltivazioni di verdure e altri prodotti ortalizi, consentendo una maggior produttività dei fondi. La viabilità, costituita dai tratti viari di Costa della Corte-Cornea e Pezze-Ferrari, garantiva al piccolo manufatto i collegamenti con tutti i villaggi di Montecorvino, consentendo a buona parte della popolazione locale il suo utilizzo.
La metà appartenete ai vari consoci fu acquistata, con molta probabilità, nel periodo compreso fra gli ultimi decenni del XI e la prima metà del XII secolo, dalla Chiesa Maggiore di Salerno. I motivi di questi passaggi di proprietà vanno ricercati nella debolezza economica dei vari soci e alla volontà degli Arcivescovi di accumulare, attraverso compere e donazioni, beni e chiese esistenti nel territorio di Montecorvino. In questo quadro di accumulazione fondiaria, la Chiesa di Salerno comprò o ebbe in dono o entrambi le cose la quota spettante a Guglielmo di Principato. Diversi sono i Conti di Principato con questo nome per cui è probabile che il secondo o il terzo Guglielmo, vissuti nella prima metà del XII secolo (5), abbiano deciso di vendere la metà mulino perché ritenuto non compatibile con le loro strategie economiche e fuori dal loro ambito territoriale.

Negli anni ’80 del secolo, il mulino e l’orto contiguo era gestito, probabilmente, da Oliviero e Graffia, coniugi di Montecorvino, capaci e fedeli vassalli della Chiesa Maggiore di Salerno. Negli anni ’90, le vicende che interessarono l’Arcivescovo Matteo D’Aiello e la negligenza dei baglivi o di altri ufficiali arcivescovili (6), consentirono ai due coniugi di impadronirsi del manufatto e dell’orto, divenendone di fatto proprietari. Alla morte di Oliviero, subentrò nella gestione il figlio Matteo, il quale continuò, insieme alla madre, a usurpare e detenere i due beni ecclesiastici. Nel corso del 1201, Matteo D’Aiello rientrò a Salerno dopo una breve prigionia in Germania e vista le condizione penosa in cui versavano i beni della sua Chiesa, decise di porre rimedio alle tante usurpazioni avvenute durante la sua prigionia. Per recuperare il mulino di S. Eustachio incaricò Gualtiero, suo Camerario, a fare tutti gli atti necessari contro la famiglia Oliviero. Di fronte al pericolo di un contenzioso legale con il Metropolita, Matteo e sua madre si accordarono con il Camerario Arcivescovile, stipulando atto pubblico nel gennaio 1202. Il contratto stabiliva che Matteo e Grafia, col consenso di Arminia, moglie di Matteo, rinunziassero in favore dell’Arcivescovo su qualsiasi pretesa o azione giudiziaria, presente o futura, sulla metà di mulino. Il Camerario, a sua volta, in nome e per conto del Metropolita di Salerno, concesse a Madre e Figlio la piena proprietà dell’orto contiguo e la quarta parte delle rendite ricavate dal mulino senza oneri o spese per gli accomodi del manufatto molitorio. Da quando stabilito nel contratto, quindi, Matteo ottiene a vita natural durante una rendita sicura sulla porzione contestata e, con molta probabilità, la gestione della metà del manufatto, consentendogli il controllo totale del prezioso mulino. Da quando emerge dalla stipula, secondo il mio parere, Oliviero, Graffia, Matteo e Arminia non abitano nel mulino, ritenuto poco consono al loro “Status Sociale”, ma, con molta probabilità, risiedono in uno dei tre borghi di Molinati e Cornea: Curti, Botracoru-Greci e la Murata, dove possiedono case e beni vari.

02
Alla morte di Matteo, gli Arcivescovi di Salerno divennero i padroni assoluti del mulino, permettendo ai prelati salernitani di gestire attraverso il manufatto proto-industriale un indiscusso e assoluto potere politico-economico nella Montecorvino tardo medievale.
Nel primo decennio del ‘400, con molta probabilità, l’abbondanza di acqua e una migliore gestione dei condotti favorirono la costruzione di un altro mulino, di una ”balcheria” e una macina olearia nella parte sottostante il vecchio mulino (7). Questi nuovi manufatti, come era consuetudine, venivano concessi dalla Chiesa Maggiore di Salerno a persone ligie, capaci e in possesso del denaro necessario, dando loro la facoltà di costruire altri opifici, previo pagamento della solita libbra di cera lavorata. Nelle stipule notarili di concessione di queste prerogative gli Arcivescovi Feudatari per ribadire la loro supremazia feudale chiedevano la consegna di uno “sproviero volante, segno ricognitivo della dipendenza manifesta alla Chiesa Metropolita di Salerno” (8).

Note

  • Un documento del 1202 cita il mulino di S. Eustachio con relativo orto, posizionato da Paolo Tesauro Olivieri a Eboli. Il manufatto, invece era ubicato a Montecorvino, dove la Mensa possedeva il predetto mulino, cosa confermata da documenti sei-settecenteschi e dalla descrizione del sito. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 120.
  • “Il diploma consente di individuare una serie di elementi che segneranno la vicenda della società olevanese fino all’età moderna. Se è possibile intravedere la presenza di un frantoio che potremmo definire bannale, notiamo come il principe neghi di fatto alla Chiesa salernitana alcuni diritti che connotano molte signorie territoriali, quali il monopolio sui mulini e, meno frequentato, il controllo sulla mobilità della popolazione attraverso il formaritaggio e neppure sono ricordate altri tipi di limitazioni alla possibilità di cambiare residenza o censi per l’abbandono del territorio. La possibilità di costruzione di mulini e il diritto di esazione sulle attività di questi costituisce un dato davvero singolare nelle carte di consuetudini dell’epoca: non si ritrova nulla del genere, ad esempio, nei castelli cassinesi nella seconda metà dell’XI secolo. E’ possibile che tali introiti servissero per le necessità della comunità, si potrebbe così interpretare la precisazione che i mulini potranno essere costruiti in uno sedio, ovvero in un unico punto del territorio, pertanto difficilmente sarebbero potuti configurarsi come mulini di proprietà di singoli personaggi.
    L’ipotesi di un mulino comunitario risulta a questa altezza cronologica difficilmente dimostrabile, tuttavia qualche decennio più tardi nella vicina contea dinastica di Giffoni è attestata la presenza di una oleara, un frantoio, che è pertinens hominibus iufunensibus nostris subiectis (DTC., 9, a. 1096), testimonianza che lascerebbe scorgere la presenza di un frantoio comunitario”.
    A. Di Muro, Terra, uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana, op. cit., pp. 53-54.
  • S. Palmieri, Mobilità etnica e mobilità sociale nel mezzogiorno longobardo, op. cit., pp. 79-99. Nel novembre 1054, la chiesa di S. Massimo di Salerno assegna il suo mulino sul fiume Irno a Costantino molinator, figlio del fu Basilio. C.D.C., VII, p. 260.
  • P. Tesauro Olivieri, Oliviero? ..Nomi, cognomi e personaggi nella prospettiva della leggenda e della storia, Salerno 1968 pp. 193-194. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 120 a -122. Documento n. I
  • Nel secolo sono documentati Guglielmo II (1107-1128) e Guglielmo III “che rimase Conte di Principato fino al 1156 quando, sconfitto dal re normanno Guglielmo I, cui si era ribellato, scelse la via dell’esilio e la Contea di Principato passò sotto il diretto controllo del sovrano”. A. Di Muro, La Piana del Sele in età normanna-sveva. Società, territorio e insediamenti (ca. 1070-1262), op. cit., p. 24.
  • A. Di Muro, Terra, uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana, op. cit., p. 55.
  • Nel 1425 la costruzione dei mulini e della balcheria era già avvenuta, così come appare nella concessione feudale assegnata a Bartolomeo Pico. Questo personaggio, molto legato all’Arcivescovo Guglielmo riceve la caduta dell’acqua dei tre manufatti, con la possibilità, poi avvenuta, di costruire una macina olearia o un’altra balcheria.
    Concessione feudale di Bartolomeo Pico del 25 novembre 1425: “Item un certo (quondam) dirupo di acque seu acque molendino inferiore de dicta terra Montecorvino e del (cuius) panditario de panni co tritorio con (quo) de battinderio de panni (pannos), giusto flumen Cornia, giusto ditto molendino inferiori et altri in perpetuo a te e i tuoi eredi, con obbligo di consegnare ogni anno libbra due di cera laborata”. A.D.S., Reg. Mensa n 33.
  • A.S.S., notaio A. D’Alessio, B. 3295, 17 agosto 1631.

La Murata

01
Alla confluenza dei valloni Quattrocchi e Greci vi sono una serie di terrazzamenti murati, residui, con molta probabilità, di un antico insediamento medievale. La località, infatti, nei primi decenni del ‘700 era chiamata la Murata ed era coltivata da olivi (1). Il sito, per la sua vicinanza a una sorgente di acqua e costeggiata da due valloni, aveva un approvvigionamento di acque per tutto l’anno, consentendo la formazione di un piccolo abitato e la coltivazione di diverse colture.
Il piccolo insediamento venne costruito, probabilmente, nella seconda metà del XII secolo da bono homines, espressione del nuovo ceto di ufficiali e vassalli, legati al nuovo signore del feudo. In un documento del 1168 compaiono diversi giudici e uomini appartenenti a questo notabilato in formazione (2), per cui si può ipotizzare che uno di questi personaggi, gratificati dall’Arcivescovo Feudatario, abbia costruito questo piccolo nucleo umanizzato. Costituito dalla casa in muratura, stalla per gli animali, depositi agricoli e da diverse abitazioni per i contadini dipendenti, dislocati su più livelli, divenne durante il ‘200 il principale villaggio di Cornea e il punto di riferimento per gli abitati contigui (3).
Le sue caratteristiche orografiche e la presenza di proprietari influenti e facoltosi consentì, probabilmente, una certa continuità abitativa anche durante il XIV secolo. La perdita di importanza della famiglia proprietaria e un eventuale fenomeno alluvionale causarono, con molta probabilità nella prima metà del ‘400, la sua decadenza e l’abbandono definitivo dell’abitato (4).
02

Note

  • “29 agosto 1728: Divisione di beni dei fratelli Ambrogio, Ippolita, Portia e Lucrezia Meo: Un oliveto chiamato la Murata, confinante con la via pubblica, il Sign. Francesco Aitoro e il vallone Quattrocchi”.
  • A. Di Muro, Terra, uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), Bari 2012, pp. 71-149-150.
  • “Un esempio di casale medievale giunto sino ai giorni nostri nella strutturazione medievale può considerarsi il sito di Caprarizzo individuato nei pressi della frazione Monticelli di Olevano sul Tusciano. I resti dell’abitato, privo di mura difensive, di cui non si rinvengono tracce sicure nelle fonti scritte, si elevano lungo il versante orientale del colle Pompogni. I ruderi delle abitazioni che costituiscono l’insediamento si dispongono lungo una serie di terrazze artificiali per un dislivello di ca 15 metri. Si tratta di edifici abitativi e produttivi elevati tra il XII e XIII secolo”. A. Di Muro, La Piana del Sele in età normanna-sveva. Società, territorio e insediamenti, Bari 2005, pp. 47-48.
  • La presenza di un ramo della famiglia Damolidei nel villaggio di Cornea (9) ci fa ipotizzare che questa famiglia in origine si sia trasferita da Olevano a Cornea e precisamente in uno dei due luoghi chiamati La Murata. La sua posizione geografica, nelle vicinanze dei vecchi nuclei di Cornea, e le attività di pastori e gabellotti svolte da alcuni suoi membri sono dei validi indizi per ipotizzare che il che padre dei due fratelli Damolidei si sia trasferito da Olevano al nostro insediamento nel corso della prima metà del ‘300.

La Fontana

01
Alla fine del ‘300 o nei primi decenni del XV secolo, lungo la strada Cornea-Isca-Faragna, fu costruita, probabilmente da un membro della famiglia Corrado, un piccolo fabbricato murato, costituito da una casa torre (1) con entrata sotto arco, cortile, stalla, depositi e orti siepati. I Corrado erano espressione del nuovo ceto dei vassalli della chiesa e possedevano vari beni feudali in diversi luoghi di Montecorvino. Nel 1465, gli eredi di Angelillo Corrado e Antonello Corrado risultano fra i proprietari dei fondi agrari esistenti nella vicina località di Peza de Campo de Crogna (2). Nel corso del XV secolo il nucleo originario si ampliò in direzione delle case degli Alessi e lungo la via pubblica con la costruzione di nuove abitazioni sia da parte dei Corrado sia da altre famiglie.
Al di sotto delle case dei Corrado, fra la via pubblica e il vallone Quattrocchi, probabilmente nel primo decennio del ‘400, fu edificato un piccolo nucleo abitato da un membro della famiglia D’Alessio. La nuova casata, proveniente con molta probabilità da Giffoni, si trasferì a Cornea per meglio salvaguardare i vari terreni avuti in concessione feudale dall’Arcivescovo di Salerno (3). Fra le sue file va annoverato un Alessio, vissuto nella prima metà del secolo, ricco proprietario terriero e fedele seguace della nuova dinastia aragonese. Fra i suoi discendenti troviamo Paolo, concessionario feudale di un terreno a Peza de Campo de Corgna (4) e di un oliveto a Cornea (5). La famiglia divenuta ricca e potente, ottenne nel 1494 da Alfonso II D’Aragona il titolo di Barone di Montecorvino (6).
Nel corso del ‘400, l’aumento demografico, la divisione in vari rami della casata e la posizione eminente raggiunta da alcuni suoi membri, consentì uno sviluppo edilizio del nucleo originario dei D’Alessio che per qualità e numero di vani divenne, insieme a quello dei Corrado, il principale nucleo umanizzato di Cornea.
02

Note

  • 1575 o 1576. A.S.S., notaio P. Bracale, B. 3260.
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 22, 24 marzo e 21 giugno 1465. Vedi in questo sito alla voce Borghi: Votraci.
  • Nel feudo concesso a Giovanni Barracchis 1437 vi era un terreno sito in località Santo Cerino, confinante con Nunzio D’Alessio. A.D.S. Reg. Mensa n. 33.
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 22, 24 marzo e 21 giugno 1465. Vedi in questo sito alla voce Borghi: Votraci.
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 27.
  • F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, Napoli 1856, p. 100.

Casale Soprano

01
Lungo la vallata del Cornea partivano piccoli sentieri impervi e in forte pendenza che conducevano all’asse viario Cornea-Isca-Faragna e alla chiesetta di S. Lazzaro. Su uno di questi viottoli, con molta probabilità nella prima metà del’300, fu edificata una casa fortificata da un vassallo della chiesa. La costruzione si affacciava sopra la vallata su di un muro di contenimento che garantiva la stabilità del fabbricato e circondata da mura con una porta di accesso sulla via vicinale.
02
Nel 1370, l’abbate Francesco Palearea si reca a Montecorvino per presiedere una assemblea pubblica e per interrogare vari testimoni sui diritti e le consuetudini esistenti nel feudo di Montecorvino. Fra questi troviamo Matteo Scafilo, il quale ribadisce che La Chiesa di Salerno gode il pieno possesso de feudo Montecorvino, riscuotendo attraverso i suoi ufficiali le gabelle esistenti nel Feudo (1). La famiglia Scafilo è documentata nel Cinquecento sia a Ferrari sia a Cornea per cui il nostro Matteo potrebbe essere il costruttore e il proprietario del fabbricato di Casale Soprano o di altri esistenti a Cornea. Nel piccolo borgo furono costruiti, probabilmente durante la seconda metà del secolo, una o più abitazioni da un piccolo proprietario locale e da pastori provenienti da Acerno. Nel documento del 1370, infatti, troviamo Pietro Guerra, pastore e conduttore di greggi, il quale dichiara “che era solito portare le sue greggi o altri animali domestici a pascolare nel tenimento di Montecorvino, pagando la fida agli officiali dell’Arcivescovo di Salerno” (2). Per questa testimonianza, probabilmente, fu ricompensato e gratificato dall’Arcivescovo Feudatario, ricevendo l’esenzione della fida nelle foreste della Mensa Arcivescovile e in quelle di appartenenza del Vescovo di Acerno. Grazie a questo privilegio, probabilmente, si trasferì con la sua famiglia e le greggi a Cornea, edificando una piccola abitazione e un recinto in legno per gli animali. L’’articolato edilizio così costituito durante il XIV secolo venne ampliato nel corso del ‘400 da nuove famiglie di pastori di Acerno e da altri abitanti di Montecorvino.

Note

  • A.D.S., Reg. Mensa n. 33.
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 33.

Casale Sottano

01
L’asse viario Cornea-Pezze-Molino aveva un ruolo di primo piano nella viabilità longobarda e in quella normanna, collegando l’antica strada del monte la Faragna con le curtis di Molinati, l’area agraria di Pezze e il molino di S. Eustachio. Durante la Guerra del Vespro, l’insicurezza e la crisi economica costrinsero le popolazioni a raggrupparsi in piccoli nuclei fortificati posti su luoghi impervi e di difficile accesso. Nella parte “sottana” di Cornea, luogo in forte pendio e contiguo al vecchio asse viario, fu costruita, probabilmente una piccola casa fortificata da un vassallo della chiesa. La costruzione costituiva un primo nucleo di difesa e un importante punto di controllo degli uomini, delle greggi e delle merci che transitavano lungo le due strade.
02
Nel corso del XIV secolo, probabilmente, fu aperta una piccola strettula dove furono costruiti due o più edifici a corte chiusa. Il piccolo nucleo, sviluppato sui due lati della strettola, era, con molta probabilità, circondato da mura e aveva un accesso unico sotto arco. Abitato da piccoli proprietari terrieri, vassalli della chiesa e pastori, rappresentava insieme agli altri abitati di Cornea il tipico insediamento accentrato. Alla fine del secolo e nei primi decenni del ‘400, si insediò nel sito la famiglia Salicone, di origine longobarda, proveniente dai altri luoghi umanizzati di Montecorvino o da qualche Università vicina. Fra i suoi membri emergono Guglielmo e Donato, concessionari feudali e proprietari di fondi a Pezza de Campo de Corgna (1). Nel corso del XV secolo l’aumento demografico e una maggiore disponibilità economica consentì un aumento del costruito. Vennero aggiunti nuovi vani, costruite ex nove altre abitazioni, allungata nella parte superiore la vecchia strettula fino alla strada pubblica e aperta una nuova porta di accesso sotto arco.
Note
  • A.D.S., Reg. Mensa n. 22, 24 marzo e 21 giugno 1465. Vedi in questo sito alla voce Borghi: Votraci.

S. Lazzaro

01
Il culto di S. Lazzaro è ritenuto da alcuni storici locali di origine orientale, diffuso nelle nostre zone da monaci basiliani o da eremiti italo-greci. La presenza di famiglie di origine greca nell’area Votraci-Molinati e di monaci orientali nella grotta di S. Michele di Olevano fa supporre che la fondazione della chiesa sia avvenuta fra XI e XII secolo, ad opera di una di queste famiglie.
02

Tuttavia non si può escludere l’origine occidentale di questo culto, attraverso la diffusione della “Leggenda Aurea” di Jacopo da Varazze. Nel medioevo il nostro Santo era ritenuto protettore dei malati di lebbra, apponendo all’interno dei “lazzaretti” la sua immagine. Nel periodo delle crociate i cavalieri che avevano contratto tale malattia fondarono l’ordine di “S. Lazzaro” per curare e accogliere i commilitoni lebbrosi. Riteniamo che la fondazione della nostra chiesetta sia legata inscindibilmente alla guarigione di qualche lebbroso o all’opera meritoria di qualche cavaliere” (1).

Note
  • D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, op. cit., pp. 59-90-91.

Scheda: Costa della Corte

01
“Nell’aprile1561, Gio Andrea Denza alias Bianco vende a Cristofano D’Alessio, una vigna sita nelle pertinenze del casale Corgna, nel luogo detto l’Animali e proprio ubi dicitur la Costa della Corte” (1). La località viene chiamata in altri documenti cinquecenteschi col nome di Costa della Corte (2). Nel corso del 600, il toponimo scompare, trasformandosi in Animara, così come risulta nel 1634: “l’Animara seu Costa della Corte” (3). Nel 1756, il notaio Silvestro Corrado e Mons. Lorenzi, Vescovo di Acerno, per evitare liti e problemi sui due fondi contigui, decidono tracciare nuovi confini: “Esso Ill.mo Prelato deve cedere una piccola porzione del bosco chiamato la Foresta e proprio da sotto al luogo detto l’Animara verso l’oliveto della Confraternita di S. Eustachio, sito nel luogo detto la Fossa. E all’incontro il Magn. Notare deve cedere una porzione del suo cerzeto , per linea retta dal lato dell’oliveto chiamato del Moro della su detta Confraternita di S. Eustachio e principiar deve da detto oliveto del Moro, e tirar sopra la strada, e ripartir proprio secondo va il valloncello, e il tenimento sassoso e boscaglioso da sopra l’oliveto su detto verso li beni del Magn. Crescenzo Corrado, resti a beneficio del detto notar Corrado una col vallone grande che viene a confinare colla strada sudetta che va verso S. Lonardo” (4). Dal documento si evince chiaramente che “l’Animara seu Costa della Corte” era posta lungo il vallone del Moro, fra la strada pubblica per S. Leonardo e la località Valle di Stasio.
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Note

  • A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252, 15 aprile 1561.
  • “23 gennaio 1568: Il Magn. Innocenzio D’Alessio assegna al Magn. Fabio D’Alessio una terra con alberi di querce et altri alberi fruttiferi, sita ubi dicitur Contrafuni, in pertinenza del casale Corgna, consistente in due parti, la prima del fu Joe Tomaso Pezuti, e l’altra del fu Valiani Pezuti, giusto Costa della Corte”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3254.
  • A.S.S., notaio A. D’Alessio, B. 3296, 5 maggio 1634.
  • A.S.S., notaio M. Ragone, B. 3383, 20 febbraio 1756.

Scheda: Valle di Stasio

01
La località viene citata per la prima volta in un atto di vendita del 1554 (1) e in altri documenti notarili del ‘500, ‘600 e ‘700. Il toponimo indicava il luogo dove era posto il primo edificio della chiesa di S. Eustachio. In un atto di vendita del 1761, viene meglio specificata la località, posta nel “casale Cornea, fra l’arcatura del molino di S. Eustachio e il fiume Cornea, nel luogo Valle di Stasio, confinante con i beni di Crescenzo Corrado da un lato, da sopra con detta arcatura e da sotto il fiume Cornea” (2).
02

Note

  • “1 maggio 1554: Antonio Trotta, del casale Crogna, vende a D. Innocenzio D’Alessio, del medesimo casale, un oliveto sito in detto casale, ubi dicitur la Valle di Stasio, confinante con altri beni di detto D. Innocenzio, Amato D’Alessio e altri, per un prezzo di duc. 1”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
  • A.S.S., notaio F. Punzo, B. 3374.

Scheda: Valle di Stasio

01
Anno del Signore 1202. Accordo sulla causa per un mulino ed un orto dov’era la chiesa di S. Eustachio, tra l’Arcivescovo Nicola e Matteo Oliviero e sua moglie Arminia.
Nel nome del Signore Dio Eterno, nell’anno dell’incarnazione del Nostro Salvatore Gesù Cristo 1202, al tempo di Federico, gloriosissimo Re di Sicilia, nel mese di gennaio, sesta indizione.
Davanti a me Matteo, giudice, sono comparsi: Matteo, figlio del fu Oliviero, e Graffia, sua madre, con volontà e consenso di Arminia, moglie dello stesso Matteo; ed il camerario (ossia tesoriere) Gualtiero, in vece della chiesa Salernitana, per mandato e volontà di Nicola, venerabile Arcivescovo di Salerno.
Tra l’Arcivescovo e i predetti Matteo e Graffia verte una causa sulla metà di mulino che si trova dove si dice S. Eustachio, e su un orto che è vicino allo stesso mulino. Su tale metà (del mulino) l’Arcivescovo aveva diritto per mandato e volontà del Sign. Guglielmo, egregio Conte di Principato, secondo quanto contenuto in una scrittura sigillata dello stesso Guglielmo, recante il proprio sigillo. Prima che la causa su detta finisca in giudizio, le parti sono giunte a concordia e transazione nei termini seguenti.
Matteo e Graffia rinunciano, nei confronti dell’Arcivescovo della predetta chiesa Salernitana e dei suoi successori, a qualsiasi contenzioso e questione, che in qualunque modo si possa avviare e proporre contro lo stesso Arcivescovo e successori, riguardo la metà del detto mulino, cedono in perpetuo all’Arcivescovo e suoi successori, senza opposizione propria e dei loro eredi, qualsiasi diritto e azione ad egli pertinenti sul menzionato mulino, accettano tutte le carte e gli atti giuridici che ha in mano il predetto camerario per parte della chiesa Salernitana.
02
Il camerario, in vece dell’Arcivescovo, concede agli stessi Matteo e Graffia e loro eredi il suaccennato orto iniziando dal (tempo) presente, concede loro di avere e percepire, vita natural durante, la quarta parte sulle rendite della metà del detto mulino, che saranno da loro (stessi) ricavate sulla metà in nome dell’Arcivescovo, non dovendo però essi spendere nulla della loro quarta parte (cioè le spese di manutenzione, ammodernamento, ecc. erano a carico dell’Arcivescovo).
Così è sembrato opportuno alle parti e così tra loro si è convenuto. Per tale motivo, onde rendere compiuto ed integro l’accordo, gli stessi Matteo, e Graffia e il Camerario facente le veci dell’Arcivescovo, pongono a garanzia e come fideiussori Guglielmo, figlio del fu Durante, e Pasquale, figlio del fu Landolfo. Inoltre, (Matteo e Graffia), per loro garanzia, si impegnano a corrispondere all’Arcivescovo e ai suoi successori cento soldi d’oro, qualora non adempissero agli accordi soprascritti o si allontanassero da essi.
In tal modo si deve attuare l’accordo che il presente atto stabilisce e secondo quando prescritto nell’istrumento da me giudice convalidato, il notaio deve formalmente scrivere.
(Sigillo)
(Firma) Io come sopra, Matteo Giudice.
Traduzione a cura di Vito Cardine

Ferrari nel Medioevo

01
Nella fascia di territorio posta fra l’attuale Ferrari e l’antico sito di Rocca Solla, al di sotto della via Ferrari-S. Martino, fu costruito un fundus da un Fontilius, centro accentrato dove abitavano alcune famiglie di contadini e pastori, diretti da un conductor locale. Il sito aveva caratteristiche poderali con una vasta area agraria denominata Pezze, posta sull’altra sponda, e da una serie di piccoli insediamenti rurali, collegati con il centro dominico mediante un ponte e una piccola rete viaria.
Le caratteristiche geografiche di Fontigliano e dei vari insediamenti di Pezze consentirono, probabilmente, una certa continuità abitativa anche durante la terribile crisi economica del VI e VII secolo e durante tutto il periodo longobardo (1)
Nel periodo normanno si costituì, nella parte alta del vecchio fundus e della curtis una serie di insediamenti accentrati e fortificati, inseriti in un sistema più vasto e organizzato di controllo e difesa delle via di accesso al castello. Questa piccola enclave, formatasi a partire dagli ultimi decenni del XI secolo, divenne, dopo la smembramento del feudo e l’assegnazione del territorio ai vari militi, il luogo di residenza di Simon de Imperato. Il nuovo signore costruì una piccolo castello o rocca, costituito, probabilmente, come era in uso normanno, da una casa torre quadrangolare, formata da vani terranei dove vi erano i depositi e il palmentum, e uno o due piani superiori che ospitavano la famiglia del milite.
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Un ampio cortile disimpegnava la torre con le costruzioni di servizio quale le stalle per il cavallo del signore e alloggio per le guardie addette alla sicurezza. Il tutto era circondata da una cinta muraria, fossato e da ponte levatoio che permetteva l’entrata nella parte signorile. Alla dipendenza del milite c’erano delle famiglie servili dislocate o nelle immediate vicinanze o poste in siti significativi quali fontana “Cemena” e Chiararso, che garantivano il denaro necessario alla funzione militare del nobile normanno e dell’insediamento signorile. Sotto la sua protezione l’intera zona venne valorizzata con impianto di vigneti ed oliveti e nella parte pianeggiante da colture di foraggio e granaglie.
Nel periodo tardo normanno e nel successivo secolo riteniamo che ci sia stata una continuità abitativa del villaggio degli Imperato. La differenza tra il primo insediamento e il secondo è dovuto dal livello sociale degli abitanti e dalla funzione di Rocca Solla. Durante il ‘200, infatti, il fortilizio fu dato con molta probabilità, in concessione ad un vassallo della Chiesa, che garantiva lavoro e sicurezza ai villani del luogo.
La viabilità normanna-sveva era costituita, probabilmente, da un diverticolo che dalla rocca normanna conduceva alla Fratta e all’Acqua Viva. Lungo questa strettola erano ubicate una serie di case, abitate da piccoli proprietari terrieri.
03
La Guerra del Vespro provocò l’abbandono di parte di queste abitazioni e la riconsiderazioni della parte più accline. Furono costruiti una serie terrazzamenti murati con entrata sotto arco lungo la strettola per consentire l’approvvigionamento di acqua dalla sorgente Acqua Viva.
I nuclei umanizzati erano costituiti da una serie di case fortificate a corte chiusa con apertura sotto arco, un piccolo cortile interno, depositi e stalle per gli animali e da orti siepati. I tre siti terrazzati e murati, durante il Trecento, costituivano un’unica entità abitativa denominata Ferrari. La sua componente sociale era costituita dalle famiglie di origine vassallatica, dei Durco, (2) De Angelo, Damolidei e Ferrari, e da altri nuclei famigliari di agricoltori e pastori. Pe la presenza di questi personaggi di ceto elevato e per numero di abitanti, l’antroponimo Ferrari, riferito inizialmente al nucleo superiore, si estese, probabilmente già nel corso del secolo, agli altri borghi vicini. Per queste ragioni l’intero villaggio era denominato, probabilmente, nella prima metà del XV secolo col nome di Ferrari. Il termine Casale, invece, rimase nel gergo locale ad indicare la parte alta dell’attuale abitato.
04
Nei primi decenni del Quattrocento, l’intero villaggio era costituito da diversi borghi, siti nella parte alta e bassa dell’attuale centro storico, lungo una serie di strettole, dove insistevano le case costruite durante il secolo precedente. Nel corso del secolo la relativa sicurezza, la crescita socio economico e l’aumento demografico portarono all’ampliamento dei vecchi abitati, la costruzione di nuove case lungo l’asse stradale proveniente da S. Martino, sulle strettole della Fontana e di “via delli Bassi” e all’apertura di un nuova via in direzione della chiesa parrocchiale di S. Eustachio. Grazie a una nuova vitalità e un accresciuto tono economico, nel villaggio emigrarono diverse famiglie, provenienti da altri abitati di Montecorvino e dalle Università vicine. Durante l’intero secolo, infatti, sono documentate le vecchie casate dei Ferrari, Damolidei, Durco e De Angelo e le nuove famiglie dei Piccoli, Pizzuti, Bassi o Vassi, De Gilio, de Tesauro, De Cunzolo, Serino, Invidiati (Immediata), Barbiero, Meo, e Cioffi.
Note
  1. “26 ottobre 1559: Ampilio Damolidei vende a Maffeo Damolidei una terra ortale con alberi di fico et olive, sita nel loco ubi dicitur la Corte, bono Salemme Invidiato, Remedio Damolidei et altri”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  2. L’antroponimo è documentato nel 1504: Costantio Damolidei di Montecorbino per un pezo di terra con olive e vite vitato ubi do li Durchi”. A.D.S., Reg. Mensa n. 2.

Fontigliano

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Nella fascia di territorio posta fra l’attuale Ferrari e l’antico sito di Rocca Solla, al di sotto della via Ferrari-S. Martino, (1) fu fondato da un Fontilius un fundus con relativa abitazione, depositi per i prodotti agricoli e stalle per gli animali domestici. Collegato con i vicini fundus di Nebulano e Casa Marzana, era dotato di una sorgente perenne, denominata nel XVI secolo Acqua Viva, (2) che garantiva un approvvigionamento idrico per tutto l’anno. Il nucleo abitativo era al centro di una vasta proprietà, diretta dal conductor locale, abitato da manodopera servile e da allevatori di bestiame. Rappresentava, insieme alle varie Pezze (fondi agrari), fra il tardo antico e il periodo latino medievale, l’unica entità umana presente presso gli attuali villaggi di S. Eustachio.

L’arrivo dei Longobardi e il loro insediamento sul monte Faragna portò all’espropriazione delle proprietà del fundus con l’assegnazione di parte del territorio, per diritto di Hospitalitas, al faraman di Piano Antico. Il sito in conseguenza dell’occupazione militare e delle modificate condizioni di potere fu abbandonato dalle famiglie residenti con il relativo degrado di parte dei coltivi esistenti.
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Note
  1. “10 febbraio 1562: Il Magn. Innocenzio de Alessio vende a Massenzio de Angelo una terza parte di una possessione, sita nel casale Ferrarioru e proprio dicitur Fontigliano, pertinente Montecorvino, giusto i beni di Carolo de Angelo, via pubblica, Vespasiano Damolidei, giusto fiume Cornea, per un prezzo di duc. 40. Due parti sono di detto Innocenzio e la terza parte è redditizia a Santa Maria di Fontigliano”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
  2. “26 aprile 1597: Acqua Viva detta Fontigliano. A.S.S., notaio F. Maiorino, B. 3273.

La Rocca

01
Nel periodo normanno, sotto il convento dei Cappuccini, vicino il vicolo Damolidei, (1) si formò un piccolo insediamento abitato da villani dipendenti dal milites della Rocca. Non avendo elementi documentali, si può ipotizzare che il micro abitato si sia formato negli ultimo decenni del XI secolo o nel primo quarto del XII secolo.
Il sito era delimitato da due vie, Rocca- S. Martimo e Rocca- Ferrari (2) in un territorio caratterizzato da scoscendimenti e terrazzamenti e dalla presenza di importanti sorgenti di acqua. Queste caratteristiche garantivano una facile difesa e una costante approvvigionamento di acqua durante tutto l’anno. (3)
Il borgo era costituito, probabilmente, da due o più abitazioni in legno o muratura, depositi per i prodotti agricoli e per attrezzi da lavoro, palmentum, ricoveri e recinti per animali domestici e da lavoro.
Con la caduta del castello e lo smembramento del feudo in piccoli “feudi allodiali”, sulla collinetta della Pietà si insediarono i De Corsellis, una delle famiglie più importanti di Montecorvino. Negli anni ‘60 e ’70 del XII secolo gli eredi del primo feudatario, Matteo e Goffredo, emigrarono a Salerno lasciando la gestione dei beni a uomini di fiducia.
02
Matteo nel 1172 vende all’Arcivescovo di Salerno la sua porzione di S. Maria della Rocca. (4) La chiesa era tenuta da un rettore incaricato alla gestione dell’edificio sacro, del borgo fortificato e del casale circostante. Il discreto numero di beni e la sua fortuna cultuale, consentirono alla chiesa nei decenni successivi di assurgere a ruolo di “parrocchia”. (6)
Note
  1. “29 luglio 1565: Nella dote di Vita de Gilio, sposata con Allegracore Diomelodiede, vi è una casa consistente in cinque membri, soprani e sottani, sita nel casale Ferrari, confinante con Miliani de Gilio, via pubblica et altri. Item una terra ortale contigua, sita nel medesimo casale e proprio dicitur la Rocca, confinante con Joe Sapati de Gilio, Politoro de Gilio et altri”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253.
  2. Elenco dei beni della Chiesa di S. Pietro del 1634: “Il clerico Govan Carlo Denza rende ogni anno sopra l’oliveto sito alla Rocca, confinante con li beni di Santa Maria della Rocca, il giardino dei Padri Cappuccini e la via pubblica che va a Ferrari”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 15, p.
  3. “1 gennaio 1585: Pompeo Damolodede possiede due domo, una terranea detta la macina co cellara seu fabrita contigua e l’altra palaziata, con orto murato, similmente contiguo, siti nel casale Ferrarioru, confinante con gli eredi di Joe Fabrizio Damolidede, giusto torrente Acqua Viva e altri”.
  4. A. Giordano, Le pergamene dell’Archivio Diocesano di Salerno (841-1193), Battipaglia 2015.
    Sei – D’Arminio – L. Scarpiello -V. Cardine, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, Montecorvino Rovella febbraio 2018, pp. 70-106. S. Paraggio, La Chiesa di S. Pietro. Insigne Collegiata Matrice Curata. Notizie e documenti, Battipaglia 2003, p. 49.

Rocca Solla

01
Nel luogo posto ad angolo di un incrocio viario, su di un piccolo pianoro (1) in zona fortemente accline e ricca di acqua fu costruita, probabilmente negli ultimi decenni del XI secolo, una rocca da un milite normanno al servizio del signore del castello. La costruzione era costituita da una parte signorile e una parte servile.
La residenza del milite consisteva, probabilmente, come era in uso normanno, da una casa torre quadrangolare, formata da vani terranei dove vi erano i depositi e il palmento, e uno o due piani superiori per la famiglia del milite. La parte terminale, era un piano scoperto “attico merlato” utilizzato da una guardia per il controllo delle sito. (2) Un ampio cortile disimpegnava la torre con le costruzioni di servizio quale la stalla per il cavallo del signore e l’alloggio per le guardie addette alla sicurezza. Il tutto era circondato da una cinta muraria, fossato e da ponte levatoio che permetteva l’entrata nella parte signorile. La nostra costruzione faceva parte di un sistema di controllo e difesa alle vie di accesso al castello e agli altri siti normanni. Infatti, il fortilizio era posizionato alla biforcazione viaria che conduceva a S. Martino, Rovella e Molinati.
Alla dipendenza del milite vi erano delle famiglie servili dislocate o nelle immediate vicinanze o poste in siti significativi quali fontana “Cemena” e Chiararso, che garantivano il denaro necessario alla funzione militare del nobile normanno e dell’insediamento signorile. Sotto la sua protezione l’intera zona venne valorizzata con impianto di vigneti ed oliveti e nella parte pianeggiante da colture di foraggio e granaglie.
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Nel 1122 con la caduta del castello e lo smembramento del feudo in piccoli “feudi allodiali” la rocca fu assegnata, con molta probabilità, alla famiglia Imperato. L’assegnazione a questa famiglia, da parte nostra, viene desunta dalla descrizione del “Catalogo dei Baroni” in cui Goffredo de Corsellis si assume la responsabilità di dichiarare la consistenza servile di Simone e Guido de Imperato. (3) La dichiarazione era dovuta a nostro parere alla vicinanza territoriale dei tre feudi posti rispettivamente alla Rocca, Rocca Solla e Castiuli. Negli anni ‘50 del secolo la nostra Rocca, probabilmente, apparteneva a Simone de Imperato, il quale ampliò l’insediamento con la costruzione nella parte sottostante di un altra cinta muraria al cui interno erano posti depositi di grano e fieno, palmentum per il vino, stalle per i buoi e altri animali domestici. La sua capacita amministrativa e militare favorì un aumento della popolazione servile. Nel Catalogo dei Baroni, infatti, il milite aveva alle sue dipendenze ben 15 villani, dislocati a Rocca Solla e nei vicini nuclei abitati.
L’assegnazione del feudo di Montecorvino alla Mensa Arcivescovile di Salerno mutò l’assetto del potere locale esistente, determinando l’emigrazione definitiva del nostro milite o dei suoi discendenti a Salerno e/o in altri luoghi del Regno.
03
Il toponimo di tale rocca detta Solla, deriva a nostro parere dall’antroponimo troncato di “Tommasullo” da cui deriva Rocca di Masullo in seguito Sullo. La declinazione al femminile del termine era dovuta alla nome rocca. Il nome del proprietario Tomasullo si riferisce o ad un discendente della famiglia di Simone oppure al nuovo proprietario del luogo, il quale per distinguersi dalla famiglia Imperato impose il suo nome al vecchio fortilizio normanno.
04
Note
  1. “21 novembre 1555: Cristofano Vasu di Ferrari assegna a Troiano Diomelodiede, tutore di degli eredi di Geloromo Diomelodiede, del medesimo casale, una vinea vineata con alberi di olivi, querce et altri alberi, sita nel loco ditto la Rocca de Solla, giusto i beni di Jacobi de Cunzolo, Martino Piccolo, eredi del fu Joe Tomasi Pezuto”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
    “16 febbraio 1613: Matrimonio fra Tomaso Vasso, figlio del fu Laudisio e Altabella Denza, e Ortenzia Invidiata. Alla sposa viene assegnata una dote in corredo, denaro corrente e beni, fra cui una possessione sita a Rocca de Solla, confinante con Antoni Scafilo, Michele Piccolo, via pubblica e via vicinale e proprio quella porzione soprana con certi piedi di olivi, vigne ed altri alberi fruttiferi, come tira un fosso et esce ad un pede de ulmo con edera alla confino di Antoni Scafilo e continua fosso fosso al diritto alla via pubblica a un altro piede de ulmo”. A.S.S., notaio V. De Dina, B. 3277.
  2. G. Coppola, L’architettura dell’Italia Meridionale in età normanna (secoli XI-XII), Napoli maggio 2005, pp. 40-41.
  3. “Simon de Imperato qui dixit sororem Alferii Pappacarbonis sicut dixit Goffridus Corsellus tenet Villanos XV e cum augmento obtulit militem unum”. “Simone de Imperato che aveva sposato la sorella di Alferio Pappacarbone, così come ha testimoniato Goffredo de Corsellis tiene quindici villlani e con l’aumento ha offerto (oppure dato) un milite”.
    “Guido de Imperato sicut dixit Goffridus Corsellius tenet Villanos IX et cum augumento obtulit militem unum”. “Guido de Imperato così come ha testimoniato Goffredo de Corsellis tiene nove villani e con l’aumento ha offerto (o dato) un milite”. E. Jamison, Catologus Baronum, da fonti per la storia d’Italia n. 101, Roma Istituto Geografico Italiano 1972, pp. 96-98-100. E. Cuozzo, Catalogus Baronum, Commentario Roma, Istituto Storico Italiano 1984, pp. 532-533.

La Fratta

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Il toponimo deriva da “frata” – Luogo incolto e posizionato vicino a luoghi fortificati o anche da fracta, terreno disboscato, siepe. (1) Considerando le due definizioni del toponimo, possiamo affermare che esisteva un piccolo abitato sparso sito tra la Rocca (Ferrari), (2) Rocca Solla (3) e Fontana “Cemena”, delimitato nella parte sottostante dalle due vie pubbliche, Ferrari- S. Martino (4) e Fontana Cemena-Rocca Solla.
Nel periodo tardo normanno e nel successivo secolo riteniamo che ci sia stata una continuità abitativa del villaggio degli Imperato. La differenza tra il primo insediamento e il secondo è dovuto dal livello sociale degli abitanti e della funzione di Rocca Solla. Durante il ‘200, infatti, il fortilizio fu dato con molta probabilità, in concessione ad un vassallo della Chiesa, che garantiva lavoro e sicurezza ai villani del luogo. La presenza abitativa, probabilmente, viene meno durante la Guerra del Vespro a causa della insicurezza e del banditismo dilagante, costringendo le famiglie residenti a spostarsi verso la Rocca (Ferrari).
02
Il sito di Fontana Cemena per la presenza della sorgete d’acqua perenne fu già utilizzato nel periodo normanno dalle famiglie del luogo per rifornirsi di acqua e dai villani del milite per abbeverare i buoi del signore. Nei secoli successivi i vari proprietari mantennero la funzione della fontana, ristrutturando i fontanini e ampliando l’abbeveratoio per le greggi e gli animali da pascolo.
Il toponimo è documentato nel testamento di Don Gennaro Maiorini nel 1508, con il termine “la Fratta seu Fontana Cemmena”. (5) Il nome potrebbe riferirsi al nome di Cemmenus proprietario del fondo dove insisteva la fontana.
03
Note
  1.  “Fratta da Fracta, luogo incolto e pare vicino al luogo fortificato o anche da terreno disboscato, recinto murato”. S. Pellegrini, Attraverso la toponomastica urbana medievale in Italia, in Topografia urbana e vita cittadina nell’alto medioevo in Occidente, in Settimane di studio del CISAM, XXI, Spoleto 1973, p. 447.
  2. “7 marzo 1583: Andrea e Antonio de Alessio possiedono una terra con alberi di olivi, ulmo, fico et altri alberi fruttiferi, sita in casali Ferrari e proprio ubi dicitur la Fratta seu la Rocca, giusto la via pubblica, Magn. Diamante Diomelodiede, e Leonardo Pezuti”. A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3249.
  3. “4 agosto 1607: Possessione alla Fratta detta Rocca Solla”. A.S.S., notaio V. Vasso, B. 3266.
  4. 15 febbraio 1706: Oliveto a Ferrari, confinante con la strada pubblica ad oriente”. A.S.S., notaio G. Abinente, B. 3317.
  5. “5 maggio 1508: Donazione di beni del Rev. D. Gennaro Maiorino alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie da lui fondata a Montecorvino:
    Item un’altra terra, sita e posta in pertinenza della Terra di Montecorvino, propriamente nel luogo detta la Fratta ovvero Fontana Cemmene, con alberi di olivi ed altri alberi da frutto, che proprio lui Sign. D. Gennaro comprò dai Signori Scipione e Tomaso, figli di Marino De Napoli, a confine con la via pubblica da due parti, i beni dotali di Giacomo Maglione e la fonte chiamata Fontana Cemmene”. C. Tavarone, Racconto storico e artistico della cappella di S. Maria delle Grazie in Montecorvino Rovella, Sarno dicembre 2018, p. 76.

Rocca e Casale

01
La viabilità normanna-sveva era costituita da un diverticolo che dalla rocca normanna conduceva alla Fratta e all’Acqua Viva. Lungo questa strettola erano ubicate una serie di case, abitate da piccoli proprietari terrieri.
La Guerra del Vespro provocò l’abbandono di parte di queste abitazioni e la riconsiderazioni della parte più accline. Furono costruiti una serie terrazzamenti murati con entrata sotto arco lungo la strettola per consentire l’approvvigionamento di acqua dalla sorgente Acqua Viva. (1)
Il primo terrazzamento, posto al disopra della via, rappresenta in ordine di tempo il primo ad essere costruito, con molta probabilità fra la fine del ‘200 e la prima metà del XIV, da un membro della famiglia Ferraro, documentata nel 1308 nel vicino villaggio di S. Martino. (2) Il nucleo umanizzato era costituito da una serie di case fortificate a corte chiusa con apertura sotto arco, un piccolo cortile interno, depositi e stalle per gli animali e da orti siepati. La crescita sociale e demografica con conseguente divisioni in più rami dei Ferrari consentì l’ampliamento del costruito e la formazione di un piccolo casale denominato Ferrari.
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Nel secondo ripiano murato si insediò, probabilmente, nella prima metà del Trecento un vassallo della chiesa, appartenente ai Damolidei di Olevano. “Questa famiglia eminente ed importante di Olevano, documentata nel 1203 con un Demeloddeus, era nel XIII secolo una delle più importanti dell’Università. Mantenutasi lontano dagli incarichi durante i disordini di fine secolo, ricompare nel 1307 con “Deumilududum, sindacos di Olibano”. (3) La fedeltà dimostrata alla Chiesa di Salerno consentì alla famiglia di ricevere incarichi e concessioni feudali ad Olevano e Montecorvino. La famiglia si trasferisce nel nostro borgo negli anni ’30 del Trecento, quando il padre dei fratelli Damolidei acquista e riceve la gabella degli erbaggi per conto degli Arcivescovi Feudatari. Alcuni anni dopo, Gregorio, insieme al fratello, ricopre il ruolo paterno di esattore degli herbaggi, gabella molto importante e fra le più lucrose dell’Università. Nel 1370, il Damolidei afferma: “sul quarto [articolo] … [interrogato] sulle circostanze disse che lo stesso teste per tutte le cose, e aggiunse che lo stesso teste e suo fratello comprarono il detto erbaggio per sessantadue once dagli Ufficiali del signor Arcivescovo. Interrogato da quanto tempo disse da quarant’anni”. (4) Da quanto detto dal Nostro la cifra da corrispondere alla Chiesa di Salerno era di ben oncie 62, una somma notevole per un tipo di gabella molta onerosa, la quale richiedeva molto impegno nella gestione e nella riscossione in un territorio vasto e ampio quale era il “Tenimento di Montecorvino”. I fratelli Damolidei, quindi, oltre ad avere una grossa disponibilità finanziaria, erano in grado di esercitare tale incarico, avendo al loro sevizio diversi uomini armati e aderenze amicali con le varie famiglie eminenti di Montecorvino.
03
Nel terzo terrazzamento, posto nella parte bassa, era costituito, probabilmente, da piccole abitazioni, circondato da mura e siepi e abitato da famiglie che dipendevano ed erano al servizio dei Ferrari e Damolidei. L’ingresso a questo piccolo nucleo umanizzato era formato da un cancello sotto arco, vicino o sotto una piccola torre. (5)
I tre siti terrazzati e murati, durante il XIV secolo, costituivano un’unica entità abitativa denominata Ferrari. La sua componente sociale era costituita da due famiglie di origine vassallatica, Damolidei e Ferrari, e da altri nuclei di agricoltori e pastori al servizio delle predette famiglie. Pe la presenza di questi personaggi di ceto elevato e per numero di abitanti, l’antroponimo Ferrari si estese, probabilmente già nel corso del secolo, agli altri borghi vicini. Per queste ragioni l’intero villaggio era denominato nella prima metà del XV secolo col nome di Ferrari. Il termine Casale, invece, rimase nel gergo locale ad indicare la parte alta dell’attuale abitato.
Dai primi decenni del ‘400, i tre nuclei trecenteschi furono parzialmente abbandonati dai suoi abitanti, i quali preferirono costruire in direzione della strada nuove case e vani di servizio. Nell’abitato dei Ferrari assistiamo all’emigrazione di parte dei vari nuclei della famiglia verso altri casali e l’estinzione di alcuni rami nelle famiglie Cioffi e De Gilio. Furono edificate altre abitazioni nei pressi dell’attuale vicolo Damolidei, le quali, insieme a quelle del Casale, costituirono un unico aggregato, chiuso e circondato da orti siepati e dotato di una o più porte di ingresso. Fra i nuovi personaggi arrivati in loco per tutelare beni acquisiti da un matrimonio o da concessioni feudali vi erano alcuni membri delle famiglie De Gilio, (6) de Tesauro, De Cunzolo (7) e Cioffi.
04
Diomede Cioffi di S. Cipriano emigrò a Montecorvino, (8) probabilmente, negli anni ’50 del secolo in seguito a un matrimonio con una fanciulla del luogo, dotata di cospicui beni. Uomo facoltoso ed eminente costruì una serie di abitazioni nella parte alta dell’attuale vicolo Damolidei, (9) e precisamente nella parte inferiore di una vasta proprietà, denominata nel corso del secolo successivo e nel ‘600 la Tempa dei Cioffi. (10) Dalla moglie, di cui non conosciamo il casato, forse una Ferrari, ebbe numerosi figli:
  1. “Alessandro, regio notaio e giudice in Montecorvino. Nel 1502 insieme al fratello Antonio ebbe in concessione l’affitto dei beni del Monastero di S. Lorenzo di Salerno”. (11)
  2. “Antonio fu regio consigliere di Alfonso II ottenendo il privilegio di esenzione, abitò a Napoli in un vasto palazzo, circondato da giardino e sito nella piazzetta dell’Arco, al seggio di Nido. Possedette un feudo fuori Napoli di circa 30 moggi, arborato e cinto di mura. Sembra che fosse un personaggio tenuto in gran conto dai re aragonesi. Aveva ricevuto dal re Federico D’Aragona 1.500 ducati sui diritti fiscali di terra d’Otranto. Fu credenziere della Regio dogana di Castellamare di Stabia, fra le più importanti del Regno, e infine una concessione di tutto il territorio appartenete alla Regia Curia, situata in Marittima Puntealorum. Tutti questi privilegi di re Federico li perse nel 1505 quando Ferdinando il Cattolico annullò gli atti di questo re”. (12) Per il ruolo svolto nel breve regno di Alfonso II fu quasi sicuramente il principale artefice del rilascio del diploma di nobiltà alle ventitré famiglie di Montecorvino. Negli ultimi anni della sua vita si ritirò nella casa natia di Ferrari, esercitando la professione di regio notaio. Nel maggio del 1508 lo traviamo al capezzale del sacerdote d. Gennaro Maiorino per scrivere e rogare l’ultimo e finale testamento. (13)
  3. Scipione II “fu dottore in Utrusque, regio notaio e giudice in Montecorvino e Salerno, patrizio e feudatario a Montecorvino sua terra natia e non venendo meno alla tradizione dei suoi avi di risiedere a Napoli alla corte degli Aragonesi. Fu cavaliere del Seggio di Porto, dove erano stati altri suoi avi, fu prediletto particolarmente da Ferdinando e Federico II. Sostenne e fu a fianco del re nella congiura dei baroni e re Federico II il 15 ottobre 1496 gli concesse un importantissimo privilegio, in riconoscimento dei suoi meriti, lo creò famigliare domestico e Commensale regio, trasmettibile ai suoi eredi, con tutti i privilegi di codesto istituto. Lo esentò dal pagamento di ogni tassa imposta e imponibile in futuro. Con la caduta della monarchia Aragonese si ritirò a Montecorvino, esercitando la professione di notaio”. (14)
  4. “Altri figli meno noti sono Giovanni e Luigi. Il primo chirurgo del re, nel 8 marzo 1488 ricevé tarì 2 e grana 10 per le spese in medicine servite a Don Ferrante, figlio naturale del re, che si trovava in prigione a Castel dell’Ovo. Il secondo era maestro e nel 1488 si recò a Gerusalemme per sciogliere da un voto il Duca di Calabria”. (15)
  5. Nei due nuclei inferiori si insediarono le famiglie De Angelo e Scafilo, provenienti da altri abitati di Ferrari e Cornea, e alcuni rami dei Damolidei. In particolare, questa famiglia, per numero e potenza economica divenne una delle casate più importanti e facoltose di Montecorvino, consentendo ad alcuni suoi membri di ricoprire cariche istituzionali all’interno dell’Università. Fra le personalità più in vista troviamo Giulio, ricco e potente proprietario terriero, il quale per il prestigio goduto nell’élite montecorvinese ottenne nel 1494 da Alfonso II il titolo di barone di Montecorvino. (16)
03
Note
  1. “21 settembre 1598: Terra ortale nel casale Ferrari, giusto l’acqua corrente detta l’Acqua Viva”.
  2. “Anno 1308-9 in Castro Montecorbini: Presbiter Petrus Ferrarius grana X, Presbiter Johannes Ferrarius grana IV”. M. Inguanes – L. Mattei Cerasoli – P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, città del Vaticano – Biblioteca Apostolica MDCCCCXLII, p. 404, n. 5981.
  3. “Uno dei gruppi famigliari più importanti ad Olevano tra i secoli XIII e XIV sembra essere quello dei Demiludedis. Un Demeloddeeus è ricordato tra i boni homines dell’inchiesta di Niccolò d’Aiello del 1203 mentre nel 1233 Petrus Demiludedis è baiulo di Olevano, personaggio in grado probabilmente di acquistare tale magistratura – si ricordi che l’ordinamento federiciano prevedeva che tale ufficio potesse essere concesso gratuitamente e a titolo oneroso, in ogni caso solo a personaggi di comprovata fedeltà al sovrano e rettitudine. Si tratta probabilmente dello stesso giudice Petrus de Demilodedis, testimone (ad hoc specialiter convocatus) nel 1240 della ricordata compravendita di una parte di un trappeto che vide come attore l’arcivescovo Cesario. Un altro iudex Demiludedi compare in un atto del 1250. Poi una lunga assenza nei documenti fino a giungere al 1307 quando un giudice Deumilududum capeggia i sindaci, procuratores et nuncios eletti dagli olevanesi, concives eorum de melioribus, nel riconoscimento definitivo delle prerogative monopoliste sui frantoi dell’arcivescovo dominus”. A. Di Muro, Terra uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), Modugno 2012, pp. 139-140.
  4. “Gregorio di Damolidei testimone, chiamato, giurato ed interrogato … sul quarto [articolo] … [interrogato] sulle circostanze disse che lo stesso teste per tutte le cose, e aggiunse che lo stesso teste e suo fratello comprarono il detto erbaggio per sessantadue once dagli Ufficiali del signor Arcivescovo. Interrogato da quanto tempo disse da quarant’anni”. A.D.S., Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., pp. 24 a 33.
  5. “21 luglio 1554 casale Rubella
    Il nobile Jacobo de Cunsilibus dona al figlio Ottavio due domo, una superiore coperta ad astrico e una terranea coperta ad astrico, sita nel casale Ferrarioru, giusto i beni di Juliano De Angelo, eredi del fu Rinaldo De Angelo e i suoi beni a tre parti, nonché una terra ortale ivi, avanti alle domo, do lo pizo delo muro di ditte case e la torre ad lo muro delo orto do la banna soprana, quali confina con li eredi del fu Rinaldo De Angelo, e per lungo e per largo palmi 18 da ditte mura di case verso lo orto, giusto li altri beni di esso Jacobo”. A.S.S., notaio N. Venturello, B. 3246.
  6. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253, 29 luglio 1565.
  7. “3 novembre 1558: Giovanni Tesauro vende a Desiderio Pezuti una domo terranea in due membri, sita nel casale Ferrarioru, bono Finamore de Cunzolibus, Giovanni de Cunzolibus e altri beni di detto Giovanni”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  8. “Diomede Cioffi di S. Cipriano sembra che nel 1420 si spostasse in Montecorvino per meglio sorvegliare i feudi posseduti in quelle terre, forse contratte con il matrimonio con qualche nobile donna di quel luogo (ignoto il casato). I Cioffi si stabilirono in Ferrari presso la strada pubblica. Questa casa aveva due corpi separati, Casa Cioffi soprana, Casa Cioffi sottana, e cioè situate nella parte alta del paese e nella parte bassa del paese, con locali a pianterreno e primo piano, con orti vicini” M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, dattiloscritto, p 160.
  9. “10 giugno 1641: Casa Cioffi soprana alla Rocca. Possessione e domo diruta dalle fondamenta nel loco detto la Rocca seu Casa Cioffi soprana, giusto via pubblica, beni di Giulio Cesare De Angelo et altri. Redditizia per grana 5 a Santa Maria della Rocca”. A.S.S., notaio A. D’Alessio, B. 3298.
  10. Elenco dei beni della Chiesa di S. Pietro del 1634: “Item alla Tempa dei Cioffi, sotto il Convento dei Cappuccini, un olivetello che era beneficio semplice unito al Collegio, confinante con la piazza dei Cappuccini, la via che va alli Cappuccini e Horazio Invidiato, al presente Gio Carlo Serino, e la via che dalli Ferrari va a S. Eustachio”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 15, p. 51.
  11. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160.
  12. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160.
  13. Testamento di d. Gennaro Maiorino del 26 maggio 1508. Alcuni giorni prima, il 5 maggio, il Nostro scrisse istrumento di donazione di beni da parte d. Gennaro alla chiesetta di Santa Maria delle Grazie. C. Tavarone, Racconto storico e artistico della cappella di S. Maria delle Grazie in Montecorvino Rovella, op. cit., pp. 16-75.
  14. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160. “Cioffi del Ramo medesimo che da Salerno il 15 ottobre 1496 ebbe da Re Federico II di Aragona un privilegio di familiarità del salernitano Scipione Cioffi in premio dei servizi prestati da lui e dai suoi antenati alla Casa Reale. (Nota: L’aggiunta è mia e la ricavo da <>, I, 1894 n. 1. Estratto dalla presentazione di P. Natella del libro: M. Cioffi, L’Abbazia di S. Leonardo di Salerno e la sua contrada, Salerno 2005.
  15. M. Cioffi, Memorie e documenti. Origine della famiglia, op. cit., p 160.
  16. F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, Napoli 1856, p. 100.

La Fontana

01
Dall’asse viario S. Martino-Ferrari-Molinati partiva una via pubblica che conduceva ai fondi agrari della parte bassa dei Ferrari. A poca distanza dall’incrocio si apriva una biforcazione da cui partivano due strettole che portavano alla Fontana (1) e alla via detta nel Cinquecento “delli Bassi”. In particolare sulla stradina per la fontana pubblica furono edificati, probabilmente nella seconda metà del ‘300, due o più case murate, con entrata sotto arco, piccole torri (2) e orti siepati e murati. Queste abitazioni furono costruite da personaggi appartenenti al ceto dei vassalli della chiesa, attirati in loco dalla presenza di acqua e di coltivi posti in luogo semipiano e facili da coltivare. Leggermente al di sotto della strettola della Fontana vi era una via vicinale, lungo la quale furono edificate le case della famiglia De Angelo. I nuovi arrivati, ricchi e facoltosi, proprietari di fondi propri e di varie concessioni feudali, costruirono una torre principale, detta poi di Marcantonio, (3) e altre due poste a nord (4) e sud (5) della stradina, costituendo un vero e proprio borgo fortificato.
02
Nel corso del XV secolo, la relativa sicurezza, la crescita socio economico e l’aumento demografico portarono all’ampliamento dei due nuclei trecenteschi e alla costruzione di nuove case lungo l’asse stradale proveniente da S. Martino e nella parte bassa. Il nuovo borgo, costituito intorno e vicino alla fontana, e tra la strada S. Martino-Ferrari e la strettola inferiore, divenne in breve per numero di abitanti e per il livello sociale il principale e più importante nucleo abitato di Ferrari. Nelle nuove abitazioni, infatti, troviamo diversi rami dei Damolidei, vari nuclei famigliari dei De Angelo e le nuove famiglie dei Piccoli, Pizzuti e Bassi o Vassi.
Nella seconda metà del secolo assistiamo a un ulteriore ampliamento del costruito, alla ascesa sociale di alcune personaggi, i quali per ricchezza e prestigio erano membri autorevoli dell’élite locale. Fra questi uomini eminenti vanno annoverati Clemente Piccolo e Marcello o Metello De Angelo, insigniti nel 1494 del titolo di Baroni di Montecorvino da Alfonso II d’Aragona. (6)
03
Note
  1. “3 dicembre 1564: Inventario dei beni del fu Pietro de Angelo del casale Ferrarioru.
    Item tre case, una terranea e doi palaziate, site nel casale Ferrarioru, giusto i beni di Agostino de Gilio, lo herede de Parisi de Angelo, co uno cortiglio, confinante con la via pubblica de la Fontana. Item un’altra casa palaziata nel medesimo casale, confinante con Angelo de Angelo e Joe Jacobo de Beneditto. Item un’altra casa terranea nel medesimo casale, confinante con Nicola Meo e la via pubblica de la Fontana, un orto di sopra con vari alberi fruttiferi, confinante con Sapato Piccolo, Antonio de Angelo e la Fontana pubblica”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3253.
  2. “4 gennaio 1556: Fra i beni di Nicomede de Angelo c’è una casa che si dice la torre e un horto murato, siti nel casale Ferrarioru”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3250.
  3. “13 settembre 1606: Marcantonio de Angelo possiede fra i suoi beni uno hospizio di domo, cioè quattro terranee e doi palaziate, con certe fabrite, con turri e giardino murato, site nel casale Ferrari, giusto i beni del Notar Vincenzo Vasso, domo di Alfonso Pezuto et altri”. A.S.S., notaio F. Maiorino, B. 3271.In un successivo documento viene specificata il nome della torre: “19 giugno 1613: Inventario dei beni del fu Bartolomeo de Angelo: Item una casa terranea, sita nel casale Ferrari, e proprio sotto la Torre di Marcantonio de Angelo, giusto i beni del notar Vincenzo Vasso”. A.S.S., notaio V. De Dina, B. 3277.
  4. “27 gennaio 1622: Giovan Carlo Denza, in qualità di Economo e Cassiere della Venerabile Confraternita del SS.mo Rosario di S. Eustachio, vende a Flaminio Damolidei una domo terranea sive peduzzo o peduco di torra, sita nel casale Ferrari, giusto via vicinale, beni di Giovanni Bassi, eredi del fu Marci Antoni De Angelo per un prezzo di duc. 30. Il Denza afferma che detta domo è pervenuta alla sudetta Confraternita per essere erede del fu Bartolomeo De Angelo. Il detto Flaminio afferma che detta compera e stata fatta insieme ai fratelli clerico Verniero e Giovanni Basso”. A.S.S., notaio A. Meo, B. 3284.
  5. “8 agosto 1604: Il notar Carlo de Angelo possiede uno domo terranea coperta a pingi, un’altra domo co lamia discoperta con orto murato nel casale Ferrari, ubi dicitur la torre, confinanti con i beni di Alfonso Pezuto, Michele de Angelo e via pubblica”. A.S.S., notaio F. Maiorino, B. 3272. In un atto successivo del “23 marzo 1622, Vito de Angelo possiede fra i suoi beni una domo detta la torre, sita nel casale Ferrari, giusto i beni di Giovanni Bassi ed altri”. A.S.S., notaio A. Meo, B. 3284.
  6. F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 100.

Arenara

01
L’asse viario con i Molinati rappresentava nel Medioevo la principale arteria di traffico, dove transitavano tutte le merci, gli animali e gli uomini del villaggio di Ferrari e degli abitati vicini. Il tracciato si snodava attraverso la linea S. Martino-Ferrari-Molinati, formando nella parte centrale un incrocio con la via Rocca-Fontana. La strada che partiva dal predetto incrocio, in direzione di Molinati, attraversava una serie di piccoli rilievi, che per la loro conformazione orografica rappresentavano dei luoghi ideali per edificare case di modeste dimensioni. Nel corso della seconda metà del XIV secolo, probabilmente, furono costruiti su entrambi i lati una serie di terrazzamenti murati, dove erano poste delle piccole abitazioni a corte chiusa. (1) Non sappiamo il numero e la consistenza degli edifici ma sicuramente appartenevano a famiglie di piccoli proprietari e censuari locali, dediti alla coltivazione dei fondi agrari siti fra Ferrari e Molinati.
02
Nel corso del ‘400 assistiamo, probabilmente, alla costruzione di una nuova strada in direzione della chiesa di S. Eustachio. I due nuclei trecenteschi, siti al disopra e nella parte inferiore, furono parzialmente abbandonati, con la costruzione di nuovi edifici lungo le due vie che portavano rispettivamente a Molinati e alla nuova chiesa di S. Eustachio. Nell’abitato inferiore troviamo alcuni membri della famiglia Meo, i quali per esigenze famigliari e per loro comodità edificarono, probabilmente, una serie di edifici siti nell’angolo posto fra le vie di Molinati e Fontana, costituendo il nucleo abitato più cospicuo della famiglia. (2) Nella seconda metà del secolo, la crescita economica e sociale della casata consenti l’ampliamento del costruito e il riconoscimento a un suo membro, Fioravante, del titolo di nobiltà da Alfonso II d’Aragona. (3)
Nella parte superiore furono edificate lungo la strada per Molinati alcune abitazioni a corte chiusa da parte delle famiglie Invidiata, Serino e Barbiero. Queste casate, proprietari di beni e concessioni feudali, raggiunsero, con molta probabilità nella seconda metà del secolo, un buon livello sociale, consentendo ad alcuni suoi membri di accedere nel clero locale e di ricoprire cariche elettive all’interno dell’Università. Fra questi vanno annoverati Giovanni Invidiati e Nicola Antonio Barbiero, testimoni nel 1502 in un atto notarile di d. Gennaro Maiorino. (4)
03
Note
  1. “6 Marzo 1771: Testamento del Magn. Crescenzo Corrado. Al figlio Tomaso assegna due giardini murati, l’uno attaccato all’altro, con due case dentro, una soprana e l’altra sottana, corrispondente alle porte dentro e fuori di detti giardini, siti nel casale Ferrari”. A.S.S., notaio M. Ragone, B. 3386.
  2. “6 Marzo 1771: Testamento del Magn. Crescenzo Corrado. Al figlio Nicolantonio lascia un appartamento di case con cortile e possessione contigua, con un’altra casetta terranea attaccata alla detta possessione, ed è sotto la casa di Fabio Vignola, con due siti di case dirute al cortile sudetto, site e poste nel casale Ferrari, le stesse che comprò dal Sign. Carmine Antonio Meo, atteso che l’altro sito di case dirute terranee e soprane col spiazzo ò sia piccolo cortile murato, corrispondente alla porta della possessione resta riservato ut infra.
    Al Sign. Tomaso, suo figlio, assegna un appartamento di case in più e diversi membri, poste nel sudetto casale di Ferrari, nel quale esso testatore ha fatto dimora, sopra il soprannominato piccolo cortile con un suolo di case dirute, soprane e terranee, attaccati alli altri due siti di case lasciate al Sign. Nicolantonio, con espresso comando che non si possono cacciare in alcun modo finestre o altre servitù verso il cortile lasciato al sudetto Sign. Nicolantonio, e perciò si debbono fabbricare li vestigi antichi delle porte e finestre che esistono in detto sito di case, e cacciarli e farli in detto piccolo cortile, con fabbricarsi ancora la porta, che dal detto piccolo cortile sporge verso la possessione lasciata a sudetto Sign. Nicolantonio, e rispetto allo stillicidio di detto sito di case si debba formare a secondo il sito antico, e la grada vecchia attaccata a tutti li sudetti siti di case, che principia dal sudetto primo cortile, sia in beneficio di detto Sign. Nicolantonio”. A.S.S., notaio M. Ragone, B. 3386.
  3. F. Serfilippo, Ricerche storiche sulla origine di Montecorvino nel Principato Citeriore, op. cit., p. 100.
  4. “29 novembre 1502 vendita da parte di Antonio Serfilippo a Don Gennaro Maiorino di una terra sita allo Sottano, giusto vallone dello Zillo, confinate con Marcelli De Lucia et altri. Atto per mano del notaio Pietro Arminio. Si sottoscrivono Agostino de Auria, giudice annuale, e i testi: Moscardini Piczuli, Giovanni Imbediata e Nicola Antonio Barbiero, tutti de Montecorbino”. Archivio Maiorino.
L’attribuzione a Ferrari di Giovanni Invidiata è solo in forma ipotetica in quanto esistono altri rami nei villaggi di S. Martino e Rovella.

Arpignano nel Medioevo

01
Nella località Arpignano, poco al di sopra dell’’antica strada che collegava questa parte di territorio con Olevano e Montecorvino, fu fondato da un Arpinus (1) un fundus con relativa abitazione, depositi per i prodotti agricoli e stalle per gli animali domestici. Collegato con i vicini fundus di Maiano, Fontigliano e Marzana, era dotato di una sorgente perenne che garantiva un approvvigionamento idrico per tutto l’anno. Il nucleo abitativo era al centro di una vasta proprietà, diretta dal conductor locale, abitato da manodopera servile e da allevatori di bestiame. Rappresentava, insieme a Maiano e Pezza, fra il tardo antico e il periodo latino medievale, una vasta area umanizzata fra Olevano e Montecorvino. È molto probabile, quindi, che ci sia stata in questo periodo una certa continuità abitativa, nonostante la lunga e perdurante crisi protrattasi dal VI al VII secolo.
L’antico prediale di Maiano, appartenente a un Maius, latifondista romano o salernitano, era sito poco al disopra di Arpignano, vicino alla detta strada antica e contiguo a una sorgente d’acqua chiamata in seguito Fontana di Mazzeo. Il fundus rappresentava il relitto toponomastico di una vasta area montana con peculiarità silvo pastorali e dalle caratteristiche poderali di una grande proprietà rurale. Il centro aziendale, probabilmente, era costituito da una piccola villa rustica, fortificata e in posizione rialzata rispetto all’antico tratto viario romano. Le modalità di insediamento erano simili al vicino fundus di Arpignano con il quale condivideva l‘estesa area agraria di Pezze.
02
L’invasione longobarda e l’insediamento di una fara a Piano Antico causarono l’abbandono dei due fundus romani e l’emigrazione dei suoi abitanti verso i vicini abitati di Olevano e Montecorvino. Le sue caratteristiche agrarie e la ricchezza di acqua favorirono una certa ripresa agraria e abitativa negli ultimi secoli del dominio longobardo. Pur non avendo toponimi in merito, la presenza del termine Guarno (2) e alcuni sporadici ritrovamenti di monete del periodo ci fanno ipotizzare che questa nuova colonizzazione abbia avuto una certa durata anche nel periodo normanno svevo.
Il piccolo nucleo demico era inserito nel Feudo di Olevano, appartenente all’Arcivescovo di Salerno, il quale come era consuetudine concedeva in feudo vari terreni e fondi agrari. Nel febbraio del 1221 assegnò al suo cuoco Costantino della Scala alcune terre in Olevano e precisamente nelle contrade Lucignano, Rupi, Fratta e Arpignano. (3) Il nostro villaggio era composto, probabilmente, da una serie di piccole abitazioni rurali con terreni coltivati a vigna intorno e da una serie di piccoli viottoli, che collegavano queste modeste abitazioni con la chiesa di S. Matteo. Come era consuetudine per tutte le chiese rurali, anche S. Matteo era il luogo di incontro degli abitanti del borgo, aveva un rettore istituito ed era dotato di un altare e un piccolo cimitero. Nel 1309 il Beneficiato era d. Pietro de Acerno che pagava al sub collettore delle decime papali oncie due. (4) In più era tassata per le offerte dei fedeli per tarì III, (5) cifra modesta ma comunque indicativa di una presenza, anche se in numero esiguo, di abitanti residenti in loco.
03
La proprietà dei vari terreni era nella mani di forestieri, legati dal vincolo di vassallaggio all’Arcivescovo Feudatario. Nella vicina località di Cannito, nel 1341, l’Arcivescovo Benedetto concede in feudo un terreno al giudice Corrado De Abinente di Olevano. Alcuni decenni dopo, nel 1364, (6) l’Arcivescovo pro tempore riconferma la concessione feudale per premiare, probabilmente, il giudice per i “servigi” prestati alla Chiesa di Salerno nel feudo di Olevano. Nella medesima località il successivo Arcivescovo Guglielmo concede ben due terreni in feudi, consistenti in vari coltivi e boschi di querce. (7) Il quadro agrario e che emerge dai dati documentali della seconda metà del secolo indicano la presenza di vasti terreni a bosco e prato intorno al villaggio e di fondi agrari nell’abitato, coltivati a vigna, olivi ed altri “alberi fruttiferi”. I proprietari di questi terreni, come abbiamo visto in precedenza, sono sia forestieri sia locali. Fra gli allodieri di Arpignano troviamo un certo Sciarra (8) e Muzzolo Biancamano, il quale nel giugno 1397 vende ad Antonio Picaturo di Acerno una terra con vigna, olivi ed altri alberi fruttiferi per ben “11 oncie d’oro, pagati in carlini d’argento della moneta di Sicilia”. (9 La cifra considerevole e la qualità del fondo rappresentano un dato sorprendente sia per il periodo sia per luogo, ritenuto da molti storici villaggio abbandonato e insignificante. Ancora più sorprendente è la volontà dell’acquirente di trasferirsi da Acerno ad Arpignano, pagando una cifra considerevole per un “arbosto misto” montano e isolato rispetto agli altri centri di Olevano. Evidentemente la posizione elevata e difendibile, favorì nel corso del Trecento la costituzione di due o più nuclei accentrati, intorno alla chiesa di S. Matteo e vicino alla due fontane sorgentifere. Questa abbondanza di acqua e la mancanza di irreggimentazione convinse, probabilmente alcuni decenni dopo, un certo Mazzeo, locale terriero, a fabbricare una fontana con relativa ”pescheria”. (10) Le due strutture idrauliche, (11) avevano, quasi sicuramente, una serie di piccole vasche e lavelli utilizzati per uso domestico, per lavare panni ed alimenti, irrigare gli orti e far bere le pecore, i buoi, le vacche, i maiali e altri animali da cortile.
04
Nel corso del ‘400 assistiamo a una intensa e proficua opera di dissodamento delle terre vergini e una trasformazione parziale dei coltivi, attraverso l’impianto di varie piante da frutto e di olivi. (12) In questo quadro di bonifica e messa a coltura, un ulteriore aiuto all’economia del casale fu dato dalla pastorizia e l’allevamento dei maiali e di animali da lavoro, che contribuì attraverso la concimazione e l’utilizzo dei buoi e degli asini a una maggiore produttività. Questa progressiva e intensa attività agricola pastorale avvenne grazie all’abnegazione e i sacrifici della popolazione locale e dei piccoli proprietari del luogo, i quali per integrare i magri raccolti, prendevano in fitto le terre dei vari enti ecclesiastici e dei concessionari feudali di Olevano e Montecorvino. Il progressivo aumento del tono economico favorì la crescita socio economica e demografica, con l’arrivo di nuove famiglie contadine da altri siti. Questi nuovi arrivati insieme alle vecchie famiglie residenti ottennero, probabilmente negli anni ’40 o ’50 del secolo, l’elevazione a parrocchia di S. Matteo. (13) Fra le motivazioni che spinsero l’Arcivescovo e la sua curia a istituire un prete con funzione di parroco vi erano le mire espansionistiche del vicino vescovato di Acerno e la volontà, probabilmente, di alcuni abitanti di entrare nell’orbita del vicino distretto parrocchiale di S. Eustachio. Parte dei proprietari e Beneficiati, infatti, erano di Montecorvino ed erano legati spiritualmente ed economicamente al Vescovo di Acerno, proprietario di una vasta zona boschiva che arrivava fin sopra il casale. In base alla documentazione fin qui analizzata si può ipotizzare che fra le famiglie residenti durante il secolo ci siano i Biancamano, Picaturo, Sciarra, Mazzeo, Canito, Francisco e Buccardo.
05
Come abbiamo visto l’intero villaggio apparteneva alla diocesi di Salerno ed era parte integrante del Feudo della Mensa di Salerno. I suoi abitanti si dichiarano di Olevano e frequentavano sia I vicini villaggi olevanesi sia Montecorvino a cui erano legati da stretti rapporti di amicizia e di parentela. I confini territoriali in nostro possesso, invece, indicano che Arpignano era parte integrante del Tenimento di Montecorvino già nel 1370. (14) La descrizione, infatti, indica il limite fra le due Università nei due valloni posti fra la cima del monte Foresta e il fiume Cornea. Tale limite territoriale fra Olevano e Montecorvino è confermato anche nei secoli successivi, quando i due siti vallivi vengono chiamati rispettivamente Francisco (15) e Tarazza. Quindi in base a questi documenti e assodato che Arpignano si trova ad Ovest del vallone Francisco, il nostro villaggio era nel “Tenimento di Montecorvino”.
06

Note

  1. “ … Padroni di interi ettari di terra fra Olevano e Montecorvino sono Arpinus, Maius e Frosius”. P. Natella, Studi Olevanesi, in “Euresis” 1990.
  2. “28 febbraio 1562: Pietro Angelo Frecena assegna al Magn. Innocenzio D’Alessio una terra con alberi di querce et altri alberi fruttiferi, sita nel loco detto lo Guarno in casale Arpignani, pertinente Olibano, confinante con altri beni detto Magn. Innocenzio, via pubblica et altri. In cambio riceve un olivito con alberi di olivi, sito nel luogo detto Santo Belardino, pertinente Montecorvino e proprio do la Chianello, confinante con Joe Cerasi, Santo Belardino et altri”.
    A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
  3. C. Carucci, Codice Diplomatico Salernitano sec. XIII, I, Subiaco 1931-1946, p. 137.
  4. M. Inguanes – L. Mattei Cerasoli . P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, città del Vaticano – Biblioteca Apostolica MDCCCCXLII, 399, n. 5900.
  5. Ratio Dec., op. cit., 447.
  6. A. Balducci, L’Archivio diocesano di Salerno, Salerno 1959, pp. 60.61.
  7. Concessione ad Enrico De Ligorio, Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, Battipaglia 2001, p. 122.
  8. “30 luglio 1559: Giulio e Simone de Cunzolo di Arpignano, Terra di Olibano, donano a D. Innocenzio D’Alessio, di Montecorvino, una terra con cerze e altri alberi fruttiferi, sita nella terra di Olibano e proprio ubi dicitur la Macchia di Sciarra, confinante con S. Maffei de Arpignano”.
    A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  9. “17 giugno 1397 Olibani
    Muzzolo Biancamano, figlio del fu Pietro Biancamano, vende ad Antonio Picaturo di Acerno, figlio del fu Giovanni Picaturo, una terra con vigna, olivi ed altri alberi fruttiferi, sita nelle pertinenze di Olibano nel casale Arpignano per 11 oncie d’oro, pagati in carlini d’argento della moneta di Sicilia computando 60 carlini per oncia”.
    C. Carlone, I regesti delle pergamene di Eboli, Salerno 1986, p. 69.
  10. “26 giugno 1767 Ferrari
    Il Sign Carmine Antonio Meo vende vari beni al Sign. D. Crescenzo Corrado.
    Item due pezzi di oliveti e territorio vacuo e con cerze, con fontana dentro, chiamata di Mazzeo, uno contiguo all’altro, siti e posti nelle pertinenze dello Stato di Montecorvino, nel luogo chiamato Arpignano, o sia Fontana di Mazzeo, confinante alla parte di sotto con il territorio di Domenico Leo, comune et indiviso col Rev. Capitolo di S. Pietro, con i beni del Sign. Carlo Sparano, anche dalla parte di sotto, dal lato verso Levante con il Venerabile Monistero della SS.ma Annunziata dei Servi di Maria di detto Stato, da sopra e dall’altro lato con i beni della Venerabile Confraternita del Sacramento e Rosario di S. Eustachio, con altri beni del predetto Capitolo di S. Pietro”.
    A.S.S., notaio S. Corrado, B. 3353.
    “1729: Beni della Chiesa Collegiata di S. Pietro
    Item un territorio di tom. 20 in circa con terre seminatorie e mortelleto nell’accennato luogo delle Pezze, quale confina dalla parte di oriente coll’acqua, che scende dalla Fontana di Mazzeo, e divide colli beni della SS.ma Annunziata di Montecorvino, e gli beni del Sign. Moscati della terra di Serino insino a Capo lo Cagniulo di detto Vallone, da mezzogiorno confina colli beni della macina di piedi, e divide con un limite, corrispondente ad un termine di pietra nel mezzo di detta terra posto, dalla parte di occidente confina colli beni delli Perilli, al presente Giuseppe Pozzuto e di Antonio Morrella, quale confina anco a mezzogiorno, da ponente lo vallone, o Resino , che divide dalli Signori Filippo ed Andrea De Angelis, seu detto Serra Arsa, e da tramontana confina colli beni delli detti Signori De Angelis”. Archivio di San Pietro di Montecorvino, Libro Campione n. 16, p. 70. B. D’Arminio – N. Fortunato, Il patrimonio della insigne Collegiata di S. Pietro di Montecorvino Rovella, Salerno 2011, p. 65.
  11. La seconda potrebbe essere nel luogo detto la Padula.
    “3 giugno 1560: I fratelli D. Vincenzo e Hieronimo De Rosa di Acerno vendono alla Magn. Cornelia Nigro di Montecorvino una terra con querce, sita nella Terra di Olibano e proprio ubi dicitur la Padula, nei pressi di Arpignano e Maiano, confinante con detta Magn. Cornelia, per un prezzo di duc. 12”. A.S.S. notaio F. D’Alessio, B. 3251.
  12. “13 marzo 1456 in Palatio Salernitano
    Nicola, Arcivescovo di Salerno, assegna a Jacobo de Santa Maria di Pugliano, in sostituzione del vecchio Beneficiato, il presbitero Antonio de Persio di Eboli, commorante a Montecorvino, un olivito sito a Montecorvino, nel luogo detto li Birri, bono Sapatilli Maurilli, Antonelli de Nuzzillo di Montecorvino; un altro Olivito nel loco Arpignano, pertinente Olibani, bono Pietro de Buccardo, Marci de Canito et Angelo de Canito. All’atto è presente D. Paolo Sammartino di Montecorvino”.
    A.D.S., Benefici e Cappelle 1374-1568, coll. n. 244.
  13. “Anni ’50 del Quattrocento: Item viene assegnata al detto Don Guarna Celestino di Pugliano per la morte del venerabile viro presbitero Nicolao Magistro Morecta de Montecorbino, ultimo e immediato Beneficiato, la metà di un olivito seu Jure, sito nella terra di Olibano, in casali Arpignani, Nostra Diocesi Salernitana, giusto via pubblica, giusta i beni parrocchiale ecclesia Santi Maffei de Arpignano et alio confine. Detto olivito seu Jure Beneficio e in comune et indiviso con l’altra metà del presbitero Angelo Di Nardo di Acerno, habitator Olibano et Damiano Canito de Olibano, per la morte del fu presbitero Jovanni Cerque de Montecorbino, ultimo e immediato Beneficiato”. A.D.S., Ben. E Cappelle Mont. Pugliano – S. Tecla 1374-1568, coll. n. 244.
  14. “ A parte orientis incipit loco ubi dicitur Antiquus descendendo versus dictam partem orientis per montaneas propre ipsum locum et vadit per montaneas, quae dicitur Forcellata, et descendendo per ipsa montaneas per dicta partem orientis usque ad serram quae dicitur Serra Ventola, descendendo per vallonem, qui dicitur Francisco, quae acqua decurrit per ipsum vallonem, et vadit usque ad fluvium correntem, descendendo per vallonem ipsam parte orientis , quae aqua eiusdem fluvij correnti, descendendo usque ad fluvium Tusciani ..”A.D.S., Reg. Mensa n. 33. A. D’Arminio – L. Scarpiello – C. Vasso – R. Vassallo, Toponomastica storica montecorvinese, op. cit., p. 122.
  15. “5 ottobre 1562: Pietro de Notare di Olibano vende a Diomede De Alessio di Montecorvino un olivito sito e posto nel luogo detto lo Vallone di Francisco, pertinente Montecorvino e Olibano, confinante con il Compratore a due parti, il Venditore e Joe Beneditto De Alessio, per un prezzo di duc. 15”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
  16. “27 luglio 1561: I nobili Pomponio, Orazio, Ludovico e Joe Jacobo de Urso, della terra di Olibano, vendono in perpetuo al Magn. Innocenzio de Alessio, di Montecorvino, due crediti di duc. 10 l’anno sopra la foresta detta Maiano, sita nel loco detto Maiano, pertinente Olibano, confinante con la Tarazza, per un prezzo di duc. 100”. A.S.S., notaio F. D’Alessio, B. 3252.
A cura di Gregorio Soldivieri

L’invaso di Chiararso

01
Istigato dall’insistenza del mio amico Lazzaro e persuaso dalla mia personale curiosità per siti medievali siamo andati alla scoperta di un luogo difficile da vedere ma ancor più difficile da interpretare. Siamo in località Chiararso nel Comune di Montecorvino Rovella nel Salernitano. Dopo una breve passeggiata ci siamo allontanati dalla strada carrozzabile e siamo scesi fino al letto del fiume Cornea. Il fiume Cornea nasce dalle montagne che sovrastano il Comune di Montecorvino e si immette nel fiume Tusciano. Il fiume scende con una notevole pendenza e questa semplice osservazione mi ha indotto a delle conclusioni che in seguito andrò a descrivere. Spesso questi luoghi in totale abbandono sono ricoperti di vegetazione, in questo caso la natura si è quasi appropriata di tutto di ciò che gli avevano estirpato.
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Quello che si pone ai miei occhi è sicuramente un luogo interessante di difficilissima interpretazione perché l’unica cosa che esce fuori dalle piante che oramai lo hanno sepolto è la parte superiore di un muro che spunta e sovrasta il contesto.
Il primo approccio e anche il più semplice è stato quello di camminare sulla parte più alta del muro cercando di trovare tracce di qualche copertura o almeno di ciò che restava di incavi di travi. Niente da fare, l’idea della copertura si è subito volatilizzata, anzi in alcuni punti labili tracce di intonaco mi hanno portato a pensare che questo in realtà non era un edificio.
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Allontanandomi dal muro e cercando di eliminare l’erbaccia che lo sovrastava, mi ha incuriosito un elemento che poi è diventato un altro tassello del mio pensiero. Dalla sommità, dopo un salto verso il basso di circa un metro e mezzo un gradone di una larghezza di circa 20 cm per tutta la lunghezza del muro sovrastante fa quasi da contrafforte, dopo una seconda escursione scendendo ancora più giù un altro contrafforte è posto più in basso.
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A questo punto scendiamo alla base del muro, la mia curiosità si alimenta con le difficoltà che vi assicuro sono considerevoli. Mi porto alla base del muro che ho visto prima esattamente sulla sponda destra del Cornea, il muro da sotto cambia aspetto.
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Incomincio a farmi un’idea

Il fiume ha diviso il muro in due parti, praticamente lo taglia in due sezioni. La vista del muro molto più evidente sulla sponda sinistra da ancora un’altra lettura ma che costituisce le basi per le mie deduzioni su questo sito.
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Il fiume ha scavato nel muro, si è creato un varco, lo ha demolito, e demolendolo ha messo in evidenza la sua funzione. Quello che salta agli occhi guardando questa struttura e che sicuramente stiamo parlando di due muri uno sull’altro costruiti in epoca differente ma per un solo scopo. In una prima fase, il muro sottostante da solo fungeva alle sue funzioni, questo lo deduco anche dall’enorme spessore di circa 5m. Guardando la foto ricavata da Google Earth i due muri sono ortogonali al fiume anzi sono stati costruiti subito dopo un’ansa.
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Giusto per creare ancora più scompiglio, mi viene fatta vedere una planimetria che risale ai primi anni del 1900 dove il lato sinistro del muro in oggetto lambisce/tocca una casa di cui oramai non vi è più nulla. Attualmente un vigneto copre totalmente il terreno senza alcuna traccia dell’edificio, è possibile intuire che una notevole frana l’abbia coperto.
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Tornando al mio posto di osservazione, quello alla base del muro in riva al Cornea dove si vedono i due lembi di muri tagliati in due dal fiume i miei occhi notano che un muro di buona fattura poggia su un altro muro più vecchio. La divisione evidente è dettata proprio dallo stato di conservazione, dallo spessore, dalla tessitura e dall’intonaco che ricopre il muro superiore ma che non ve n’è traccia a quello inferiore.
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“I muri in pietra naturale utilizzavano le pietre di risulta, pietre non lavorate proveniente da scavi nei terreni e affiorati magari dopo aver arato il terreno. Un tempo l’aratura del terreno faceva affiorare varie tipologie di pietra e dopo averle scartate si selezionavano mettendo da parte le pietre calcaree e quelle tufacee scartando invece la pietra arenaria e quella silicea.”

Il muro superiore e la sua tipologia costruttiva è la parte maggiore dell’intera opera, mentre quello di sotto con il suo enorme spessore ha fatto da fondamenta.
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Conclusione

Siamo alla fine del xv sec. i territori collinari non consentono lo sviluppo di culture intensive. Negli ultimi decenni del xv sec. l’arte della lana costituì il mezzo più adatto per raggiungere un certo benessere economico, grazie soprattutto alle acque dei fiumi che scendendo dalle montagne alimentavano le gualchiere, i mulini, le tintorie e gli altri opifici. Il fiume Cornea si prestava sicuramente a tale funzione e come risulta ancora oggi tante erano i mulini lungo il suo corso. La casa oramai scomparsa sul lato sinistro del Cornea molto probabilmente era un mulino o una gualchiera che si alimentava grazie alle sue acque. I muri possenti che abbiamo analizzato descrivono la realizzazione di un invaso in due tempi diversi.
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Il primo invaso è stato creato in poco tempo sul lato del fiume destro senza toccare il letto del fiume questo lo si deduce dal muro dell’invaso, non hanno puntato tanto sul manufatto ma hanno compensato con lo spessore del muro. La curva del fiume prima dell’invaso è stata creata subito dopo la costruzione dello stesso. Il fiume in quel punto non aveva nessuna curva e lambendo il fabbricato sicuramente alimentava una ruota di mulino, ma l’afflusso non era controllabile in caso di piena. Quindi la soluzione più ovvia è stata quella di costruire l’invaso per controllarne la velocità e il flusso. Forse perché la portata idrica era aumentata o forse per un eventuale cedimento, dopo alcuni anni si è costruito il muro superiore andando ad usare una tecnica più consona ad una diga (scaloni a decrescere) che ad un invaso, ovviamente l’ampliamento significava anche il controllo del flusso magari con un sistema di caditoie. Non vi è nessuna traccia, ma data la vicinanza del muro in questione all’edificio oramai scomparso si può dedurre che il muro facesse anche da canale portando l’acqua verso il mulino.
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“Queste deduzioni sono scaturite da un’attenta lettura dello stato dei luoghi ma non supportate da analisi archeologiche e geologiche, pertanto ciò che si è scritto non è assolutamente vincolante anzi vuole essere da sprone ad analisi più dettagliate e specifiche magari coadiuvate da tecnici ed esperti del settore.”

Gregorio Soldivieri